Guardate troppe serie TV

Nel piccolissimo spaccato del mondo calcistico aretino, succedono anche cose di questo genere.  Succede – se non avete voglia di andare ad aprirvi il link – che un calciatore, figlio del vicepresidente di una squadra di calcio di serie C, minacci un giornalista, cercando perfino il contatto fisico, perché a suo modo di vedere, troppo duro nel giudizio tecnico nei suoi confronti.

La Colt come strumento di risoluzione delle controversie. Far West, ca. 1850

La Colt come strumento di risoluzione delle controversie. Far West, ca. 1850

Si noti che stiamo parlando di uno che non è esattamente John Terry, eh, visto che faceva la panchina in Serie D chiunque fosse l’allenatore, ha fatto qualche presenza in Coppa Italia, e conseguentemente fa la panchina ora, in serie C. Uno di cui il suo allenatore ha detto, più o meno, “in rosa abbiamo tre difensori centrali, poi c’è Coso” (non faccio nomi, ma il mister fece nome e cognome), un po’ come dire che questo tanto è inamovibile e quindi bisogna regolarsi di conseguenza. Uno che è riuscito a rimediare un cartellino rosso – con conseguente squalifica – mentre stava facendo riscaldamento.  Uno che nell’undici titolare non ci finisce neanche quando si è a corto di uomini nel ruolo, piuttosto si cambia modulo. Per dire.
Queste cose succedono, e magari tutto sommato per qualcuno possono anche sembrare normali, o accettabili, e ci si divide tra chi è solidale con il giornalista minacciato (me compreso, sia chiaro) e chi magari non dice niente perché oh, tutto sommato, sempre a parlar male di ‘sto qua, ci sta che gli siano saltati i nervi, in fondo è un ragazzo (che a giugno compirà 25 anni, sia detto per completezza) e allora stiamo zitti, non prendiamo posizione. Dimenticando che stiamo parlando di uno sportivo professionista, almeno formalmente, quindi uno che è pagato per giocare a calcio e farsi giudicare da chi di calcio scrive.
Meno di due anni fa, quella stessa dirigenza che guidava e guida l’Arezzo, parlava di “accanimento contro l’Arezzo Calcio” da parte di alcuni giornalisti locali, tra cui – in modo magari meno marcato di altri – anche il sottoscritto. E tuttavia, la domanda che affiora, oggi come allora, è sempre la stessa: ma sapete almeno di cosa state parlando?
Io in realtà penso un’altra cosa, che badate bene, trascende dal torto e dalla ragione del caso singolo. Penso che la gente al giorno d’oggi guardi un po’ troppe serie TV dove si è avvezzi a farsi giustizia da soli, dove gli animi suggestionabili sono – appunto – suggestionati dall’idea che farsi giustizia da soli è figo, è l’unica cosa da fare, perché nessuno ti difenderà mai se non ci pensi da solo, perché la scala dei valori ognuno se la costruisce da solo. Per cui, se sei un politico disonesto e io ti dò del ladro, tu mi quereli, anche se ho le prove per dimostrare quel che scrivo. Se sei un musicista che sforna un disco mediocre, o uno scrittore che pubblica un libro brutto, sono io che lo recensisco che non ho capito, sono troppo limitato, e bla bla bla. Se sei un calciatore scarso e io scrivo che – cito testualmente –

E’ ovviamente rimasto in rosa De Martino, che continua a occupare un posto over in maniera incomprensibile dal punto di vista tecnico. Nonostante le liste bloccate, nonostante i 5 minuti che gli ha concesso l’allenatore in cinque mesi, nonostante la prospettiva di non giocare mai, nessuno in società si è sognato di chiudere questa incresciosa parentesi che ormai è aperta da quattro stagioni. Il padre vicepresidente, incurante di una situazione che metterebbe in imbarazzo perfino il più sfacciato dei dirigenti, è sempre saldo al suo posto, siede alla destra di Ferretti in tribuna e non rende conto a nessuno. Cambiano gli allenatori, cambiano gli uomini mercato e i direttori generali, ma che ci sia Bonafede, Diomede, Pagni, Ciardullo o Gemmi, chi tocca De Martino muore. E il difensore over ci dicono che tanto non serve. Più che un deficit tecnico, che pure c’è, si tratta di un clamoroso sfregio all’immagine della società. Ma nessuno, pare, se ne rende conto.

Ecco, allora è anche solo lontanamente concepibile che tu mi minacci di aspettarmi sotto casa, cerchi di aggredirmi e cose del genere. Io penso che stiate diventando tutti matti, poi fate voi. Andrà a finire che ve la racconterete da voi, vedremo quanto siete bravi e quanto riuscirete a far credere alla gente che Leo Messi, tutto sommato, è uno che al massimo potrebbe giocare nel Montevarchi.  Nel caso specifico, ho solo un’aggiunta da fare, perdonatemi – da tifoso e non da giornalista. Quando io ho iniziato a segnarmi i risultati delle partite dell’Arezzo sugli album delle figurine Panini, Coso, lì, non era neanche nato. E io continuerò a seguire le sorti degli amaranto anche quando Coso avrà smesso di giocare a calcio, e quando l’attuale proprietà avrà ceduto le sue quote, disinteressandosi completamente delle sorti del cavallo rampante.  Magari questo vorrà pur dire qualcosa, vedete voi.

EDIT del 09/02/2016: QUI e QUI ci sono le due prese di posizione dell’US Arezzo in merito alla vicenda. Meglio tardi che mai.

L’orto di Montevarchi e il cuore amaranto.

(Articolo pubblicato su Amaranto Magazine)

   Non capita molto spesso, nel calcio di oggi, di vedere una squadra che ha totalizzato due punti in quattro partite andare sotto la curva dei propri sostenitori a prendersi gli applausi convinti di tutto il settore. Non capita molto spesso di trovare un orto nel settore ospiti, e non “du’ cesti de insalata”, ma proprio tutto un orticello fatto per bene, con tanto di paletti per i pomodori e attrezzi chiusi dentro al gabbiotto dei gelati ormai in disuso (alla persona che se ne occupa, sicuramente verrà in mente presto di mettere un cancello, o di dislocare altrove le proprie colture).

S

                      Un orto dietro una curva di calcio. O quel che ne resta dopo un derby.

Non capita molto spesso di vedere che la tifoseria di casa ce la mette tutta, ma proprio tutta, per farsi insultare, ma invano, perché va bene la rivalità, vanno bene i derby, ma a tutto c’è un limite.  Non capita molto spesso, ma ieri a Montevarchi è capitato.

   Perché i ragazzi di mister Carrara, che ieri hanno finalmente portato a termine i 90 minuti in una gara ufficiale senza prendere gol, sono ragazzi che danno l’anima, ai quali al novantesimo non si può proprio rimproverare niente, perché ce l’hanno messa tutta. Averla avuta, questa grinta e questa voglia di lottare, nei tre anni scorsi, c’è da scommettere che la nostra permanenza lontano dalla B sarebbe durata molto meno a lungo. Non a caso, negli anni scorsi in curva si cantava spesso “noi vogliamo gente che lotta”, ma l’altro ieri non ce n’è stato bisogno. Certo, i puristi del calcio storceranno il naso di fronte ad una prestazione nella quale non abbiamo quasi mai impensierito la retroguardia rossoblù, ma per i puristi del calcio c’è la Champions League al martedì e al mercoledì in TV. Noi siamo l’Arezzo, e la nostra storia è fatta di tanta, tantissima serie C, un po’ di serie B e qualche anno tra i dilettanti. Non siamo frequentatori abituali dello Stamford Bridge o dell’Old Trafford, del Camp Nou o del Bernabeu. Però anche domenica c’è stato un gran tifo per tutta la partita, con buona pace della curva montevarchina che sperava chissà cosa, c’è stato chi a fine partita era “sudato mezzo” per aver sbandierato per novanta minuti, c’è stata una squadra che ha lottato su ogni pallone. Verrà il tempo delle sfide internazionali? Chi lo sa. Per ora possiamo essere contenti così, per questa squadra che non avrà ancora una grande coesione tattica, ma ha grinta e voglia di lottare da vendere. Forse in pochi se ne sono resi conto, ma questa squadra incarna appieno il “vecchio cuore amaranto” che troppo spesso in questi anni ci è mancato.