Watchmen: quis custodiet ipsos custodes?

(Articolo pubblicato originariamente su Il Baffo, il defunto blog del Karemaski, il 4 luglio 2013)

[INCIPIT IRONICO] Giusto perché in questa rubrica non ci siamo cimentati, finora, con dei mostri sacri del fumetto, ritenevo doveroso affrontare un argomento, o meglio, una miniserie, che ha lasciato un certo segno nel mondo dei Comics USA, diciamo un segnettino[FINE INCIPIT IRONICO]:  Watchmen, dodici albi a firma Alan Moore per i testi e Dave Gibbons per i disegni, usciti tra il settembre 1986 e l’ottobre 1987 per la DC Comics.

La copertina dell’edizione in volume di Watchmen della DC Comics.

Se il nome non vi suona nuovo, si, è perché nel 2009 ne è stata realizzata una trasposizione cinematografica, opera di Zack Snyder, lo stesso di “300” e de “L’uomo d’acciaio”, del quale – anche se è stato cambiato il finale – vi consigliamo caldamente la visione DOPO aver letto il fumetto, e rigorosamente in versione “ultimate cut”:  dura un po’ di più, ma ci sono anche “i racconti del vascello nero”, fumetto nel fumetto che… ok, ok, la smetto di aprire parentesi e vado con ordine.

Per capire l’importanza di Watchmen nel mondo del fumetto mondiale, basterebbe dire che è la prima a venire citata, quando si parla di “revisionismo supereroistico”, ovvero quella serie di opere che ha preso di peso i supereroi del fumetto USA (e, con un vero e proprio “effetto domino” , quelli di tutto il mondo), e li ha trascinati nel fango.  Non è azzardato dire che esiste un mondo del fumetto PRIMA di Watchmen e un mondo del fumetto DOPO Watchmen:  quello che c’era prima era un mondo dove esistevano, sì, i “supereroi con superproblemi”, creati da “Smiling” Stan Lee già nei primi anni ’60, ma in cui tutto era sempre e comunque destinato a finire bene ( tranne alcune eccezioni, delle quali forse la più notevole è la morte di Gwen Stacy, fidanzata dell’Uomo Ragno); quello che c’è stato dopo l’opera di Moore e Gibbons è un mondo dove i supereroi erano e sono, finalmente, figli del proprio tempo, hanno problemi di rapporti interpersonali, vivono i problemi legati al proprio mondo (nel caso di Watchmen, un mondo in piena Guerra Fredda), commettono errori irreparabili, sono, insomma, anche e soprattutto autentici, molto più di quanto non si fosse visto fino a quel momento.

Su Watchmen sono stati versati tanti di quei fiumi d’inchiostro che è praticamente impossibile aggiungere qualcosa che non sia già stato detto, così in questa sede è d’uopo limitarsi a dare qualche motivazione per cui, ecco, dal modesto punto di vista dello scrivente, non si può proprio fare a meno di leggere questo fumetto.  In primo luogo, perché ci sono tanti di quei riferimenti culturali, artistici, storici e psicologici che ad ogni rilettura è possibile trovare qualcosa di nuovo.  Qualche esempio? Uno dei protagonisti del fumetto si chiama Rorshach, e la maschera è fatta a macchie che cambiano continuamente.  Se avete avuto un’infanzia appena appena problematica, o se avete fatto un minimo di studi di psicologia, sicuramente sapete cosa sono le Macchie di Rorshach.  Per tutti gli altri, cliccate qui.  Inoltre, nel corso delle storie ci sono molteplici riferimenti ai nodi gordiani, riferimenti a William Blake, Salvador Dalì, William Burroughs, Bob Dylan, Iggy Pop, teorie del complotto e tutta una serie di altri riferimenti tali da far sembrare Eyes Wide Shut un episodio dei Barbapapà.  Scherzi a parte, Watchmen è un’opera oltremodo complessa, che ancora non abbiamo probabilmente finito di sviscerare, e  che non ci meraviglieremmo di vedere studiata nelle scuole, in un futuro neanche troppo lontano, per il suo innegabile valore artistico e letterario, e per questa sua “stratificazione”, che ha costituito un punto di riferimento per tutto il fumetto che è venuto dopo, una milestone se ce n’è mai stata una.  Oltre al valore indubbio ed intrinseco di quanto prodotto da Moore (che, come accadde anche con V per Vendetta, non ha accettato di far pubblicare il proprio nome nei titoli di testa del film, che risulta pertanto “based on the comic book novel by Dave Gibbons”), insomma, c’è un valore aggiunto:  senza Watchmen, non avremmo probabilmente avuto titoli come Sandman, Batman – il ritorno del cavaliere oscuro, Rising Stars (di cui abbiamo già parlato in questa rubrica) e buona parte delle storie con cui sono stati attualizzati anche i supereroi “tradizionali”, da Superman a Capitan America all’Uomo Ragno.

“E la trama?” direte voi. “E il fumetto nel fumetto?”

La spilla che viene rinvenuta accanto al cadavere di Edward Blake, “il Comico”.

Bene, fate conto di trovarvi in un 1985 “alternativo-ma-non-troppo”, dove gli USA hanno vinto la Guerra del Vietnam, e sono ad un passo da una guerra nucleare con l’Unione Sovietica (come testimonia anche “l’orologio dell’apocalisse”, più volte mostrato nel corso del fumetto), Edward Blake, un tempo noto come “il Comico”, viene trovato morto.  Rorshach (si, quello con la maschera a macchie) indaga sulla vicenda, coinvolgendo tutti i suoi vecchi compagni attualmente a riposo, dei quali solo uno realmente dotato di super poteri (il Dottor Manhattan, che però non ha più in sé la minima traccia di umanità) e uno (Ozymandias) noto per essere l’uomo più intelligente del mondo.  C’è di mezzo una cospirazione, che in nome di un bene superiore potrebbe portare a diverse morti.  C’è poi la trama “parallela” dei Racconti del Vascello Nero, un omaggio neanche troppo velato ai fumetti della EC Comics degli anni 50 (quelli di Zio Tibia e di Tales From The Crypt, per intendersi), che mostra un uomo divorato dalla propria paranoia, un contraltare che rende ancor più angosciante il dipanarsi della storia principale.

Un fumetto, insomma, di non semplicissima fruizione, che richiede grande attenzione nella lettura, ma che rappresenta una lettura assolutamente imprescindibile per semplici lettori, aspiranti autori, amanti delle belle cose da leggere.  Un fumetto talmente bello che anche il film, pur togliendo diverse cose e cambiando il finale in chiave di “spettacolarizzazione”, riesce comunque a fare la sua figura.

Come Tex non c’è nessuno

(Articolo pubblicato originariamente su Il Baffo, il defunto blog del Karemaski, il 10 giugno 2013)

Ho pensato un sacco di volte a come iniziare un pezzo su Tex, una leggenda del fumetto italiano, ideata da G. L. Bonelli e creata graficamente da Galep, da 65 anni ininterrottamente presente nelle edicole, dapprima con gli albetti “a striscia” (pubblicati dal 1948 al 1967) e dal 1958 nell’attuale formato, che nei primi 94 numeri ha raccolto e ripubblicato le storie delle strisce e ha poi cominciato a narrare le nuove avventure del ranger con la faccia di Gary Cooper, e sono giunto alla conclusione che l’unico approccio possibile al personaggio sia quello del massimo rispetto.  Se uno pensa al “segreto del successo” di Tex, è evidente che non è possibile individuarlo.  “Altrimenti avremmo fatto 10 personaggi come Tex”, avrebbe detto Sergio Bonelli al riguardo.  E invece, come recita il titolo del libro-intervista di Sergio Busatta, “come Tex non c’è nessuno”.  E comunque, dovendo azzardare una spiegazione di come sia possibile che ancora oggi, nel 2013, Tex sia il fumetto italiano più venduto, si può partire dal fatto che Tex sia, since 1948, un personaggio sempre fedele a sé stesso, un raddrizzatore di torti, senza paura e senza macchia, che non guarda al colore della pelle (e qui giova ricordarcelo, che è un personaggio nato nel 1948) ma solo alla giustizia.  Un eroe d’altri tempi, con pochissimi dubbi e nessuna paura, a tratti capace di imprese “al limite dell’umano”, sempre, immancabilmente, con la schiena dritta.

Un giovanissimo Gary Cooper, prima ispirazione per il volto di Tex Willer

Nel caso in cui non abbiate mai sentito parlare di Tex (uhm…), in quattro-righe-quattro il personaggio è questo qua: un ex fuorilegge, ex rivoluzionario per l’indipendenza messicana, diventato Ranger del Texas, capo della tribù indiana dei Navajos (dopo averne ereditato il comando dal suocero, Freccia Rossa) e loro agente indiano, padre di Kit Willer, fratello di sangue del taciturno navajo Tiger Jack, inseparabile pard di Kit Carson.  Questo è quello che c’è da sapere per avere un’idea, vaghissima, di chi si stia parlando. Un personaggio che ha anticipato (e propiziato) per moltissimi versi l’ondata cinematografica dello Spaghetti-Western, ha saputo cavalcarla e sopravvivergli.  Al momento di scrivere questo pezzo, siamo a 632 albi della serie regolare, a cui si aggiungono 27 speciali (il ventottesimo uscirà tra poco), 16 albi “maxi”, due “color tex” e 20 episodi pubblicati nella collana “almanacco del west”.  E tutto questo bendiddio porta la firma di – tenetevi forte – solo dodici sceneggiatori, un caso più unico che raro nella storia del fumetto mondiale.  E di questi dodici, sono solo in quattro ad aver firmato un numero considerevole di storie (cinque se ci aggiungiamo Tito Faraci, l’unico altro ad aver superato la quota di 10 albi pubblicati):  Giovanni Luigi Bonelli, creatore del personaggio ed autore dei testi dei primi CENTOOTTANTADUE numeri della serie; il figlio Sergio, che come autore si firmava Guido Nolitta (ed è stato anche l’ideatore di altri due personaggi di spicco, Zagor e Mister No); Claudio Nizzi, sceneggiatore principe della serie dal 1988 al 2008; Mauro Boselli, attuale curatore della serie nonché co-creatore (assieme a Maurizio Colombo) del personaggio Dampyr, il mezzo-uomo-mezzo-vampiro nelle edicole dal 2000. Un numero estremamente ristretto di sceneggiatori, che ha permesso al personaggio di rimanere negli anni fedele a sé stesso, pur concedendosi delle “divagazioni di genere”, soprattutto con storie dalla forte connotazione soprannaturale.  E se qualcuno si azzarda ad obiettare che “Tex non ha più niente da dire” o peggio ancora che “Tex non è credibile, gli va sempre tutto bene”, che volete che vi dica? Per prima cosa, vi va bene se Tex stesso non vi spara o vi dà un destro, dopodiché vi invito a riguardarvi (tanto lo so che l’avete già visto) Django Unchained: vi assicuro che ogni singola storia di Tex è più credibile del (pur piacevolissimo) film messo in piedi da Sua Maestà Quentin Tarantino.

La copertina di “Tex Willer – Il romanzo della mia vita”, di Boselli e Civitelli

Se uno volesse mettersi a leggere le avventure del ranger a partire da oggi, diciamo con una conoscenza del personaggio che si limita alle tre righe di cui sopra, ecco, direi che l’ideale, se non avete voglia di recuperarvi la serie – che comunque è stata ristampata più volte – è leggersi il romanzo di Mauro Boselli, “Tex Willer – il romanzo della mia vita”, con illustrazioni inedite del nostro concittadino Fabio Civitelli (per inciso, autore anche della copertina di “70 ore nel futuro”. Se lo volete incontrare sarà con noi QUI), dove l’autore milanese, utilizzando l’espediente letterario del giornalista che richiede un’intervista, fa raccontare a Tex stesso quali siano state le avventure più memorabili che lui abbia mai vissuto, fornendo una sorta di “Bignami” (ri-uhm…) della serie.  Esiste anche un’infinità di materiali video, più o meno approfonditi e variamente interessanti, sul ranger.  Per cominciare, recuperatevi la prima puntata di Fumettology, il ciclo di Rai 5 dedicato ai “miti” del fumetto italiano (ok, lo so, siete pigri. Ve la posto io direttamente qua sotto.)

Se proprio ne avete voglia, sparatevi (è il caso di dirlo) anche “Tex e il signore degli abissi”, film del 1985 con Giuliano Gemma ad interpretare il ranger, tratto dagli episodi dal 101 al 103 della serie regolare, e soprattutto “come Tex nessuno mai”, film-documentario di Giancarlo Soldi del 2012 che parte da Tex e racconta la storia di Sergio Bonelli, scomparso un anno e mezzo fa.

Per orientarsi su quanto di Tex viene pubblicato oggi come oggi dalla Sergio Bonelli Editore, ogni mese escono cinque albi del ranger:  “Tex”, attualmente giunto al numero 632, che pubblica le storie inedite del personaggio, e le tre ristampe “Tex Tre Stelle” (mensile), “TuttoTex” (mensile) e “Tex Nuova Ristampa” (quindicinale).  A parere di chi scrive, Tex attraversa in questi ultimi anni un vero e proprio “stato di grazia”: albi scritti bene, con sceneggiature mai forzate e una qualità media dei disegni altissima.  A scatola chiusa, se volete provare una storia autoconclusiva, vi posso già dire questo:  tra una decina di giorni esce il ventottesimo speciale, il “texone” intitolato “i pionieri”, realizzato da Boselli e Venturi.  Provare per credere, come diceva quello.  E quello, ovviamente, la sapeva lunga.

Rising Stars: Change the world, or we’ll do it for you.

(Articolo pubblicato originariamente su Il Baffo, il defunto blog del Karemaski, il 6 maggio 2013)

Cosa succederebbe al mondo se improvvisamente un meteorite si abbattesse su una tranquilla cittadina, diciamo, dell’Illinois, instillando in tutti i bambini concepiti in quel giorno dei “poteri speciali” che li rendano in grado di fare le cose più stupefacenti?

Questa è la domanda che si pose a fine anni 90 J. Michael Straczynski (si, ho fatto il copia-incolla per il cognome), autore televisivo (forse vi è capitato di leggere il suo nome nei credits di Babylon 5, serie trasmessa in Italia da La7) e fumettistico tra i più prolifici e geniali della “nuova ondata” del comicdom USA (tra l’altro, suo è anche uno dei migliori cicli di Amazing Spider-Man della recente storia, comprendente anche la famosissima storia dedicata all’11 settembre).

Ma basta con le parentesi.  Andiamo a parlare di Rising Stars.

Dicevamo che c’è questo meteorite che si abbatte su Pederson, Illinois.  113 neonati vengono “investiti” dalla forza cosmica che il corpo celeste porta con sé, e fin dalla tenera età cominciano a manifestare poteri sovrannaturali, “Speciali”, tanto che vengono ribattezzati “gli Specials di Pederson”.  Ovviamente, il Governo americano pensa bene di metterli tutti sotto la propria ala protettrice, affidandoli al Dottor William Welles, che ne studia e ne classifica i poteri, compilando delle schede dove vengono evidenziate le caratteristiche salienti di ognuno, e anche come possano, in casi estremi, essere fermati.

Ma è un fumetto con 113 protagonisti, direte voi? In realtà non proprio, in quanto molti degli Specials hanno poteri “di poco conto”, e comunque hanno un ruolo defilato nella trama.  Insomma, per farvela breve, ad un certo punto questi Specials cominciano a cadere come mosche. I primi a lasciarci le penne sono proprio quelli che hanno poteri minori.  In corrispondenza di ognuna di queste morti, gli Specials rimasti cominciano ad avvertire un aumento del potere a loro disposizione.  Questo porta inevitabilmente i più potenti a scontrarsi tra di loro per affermare la propria supremazia.

Ora, è difficile raccontarvi un fumetto come Rising Stars senza svelarvi dettagli della trama che potrebbero sciuparvi la lettura di questo o di quell’altro episodio, quindi da qui in poi si va un po’ sulla fiducia nello scrivente.

 

La copertina del sesto volume dell’edizione italiana, tratta dal numero 17 della serie USA.

 

Dopo diversi avvenimenti cruenti e luttuosi (che non vi sto a spiegare, come da frase precedente), gli Specials realizzano che con i loro poteri hanno la possibilità concreta di creare un mondo migliore, di cambiare tutto quello che non va nel mondo odierno.  E quando dico tutto intendo proprio tutto-tutto.  E, dannazione, cominciano a farlo davvero.  Perché capiscono che niente di quello che gli è capitato è successo per caso, e quindi non possono perdere questa opportunità che gli è stata offerta. Fino a quando non si rifarà vivo il meteorite… Rising Stars è un gran fumetto, in definitiva, con ogni probabilità uno dei più sottovalutati e misconosciuti degli ultimi anni, anche se va detto che a questa sottovalutazione hanno contribuito anche le vicende editoriali negli USA (la pubblicazione della serie venne sospesa per quasi due anni a causa di una disputa tra autore ed editore sulla vendita dei diritti cinematografici, anni diventati addirittura quattro in Italia), che hanno fatto sì che molti dei fan della prima ora si siano un po’ persi per strada.  Però è una miniserie che ha dei dialoghi fantastici – uno dei marchi di fabbrica di Stracz, non cala mai di ritmo, è ben disegnata, ha un finale dannatamente coerente con l’inizio e con lo sviluppo della storia.  Oltre ai 24 episodi della serie regolare, originariamente raccolti in sette volumetti usciti in Italia tra il 2000 e il 2006 per Panini Comics (e poi ripubblicati in tre volumi da libreria), esistono tre miniserie spin-off (“Bright”, “Voices of the dead” e “untouchable”) pubblicate successivamente e che aggiungono altri elementi “collaterali” all’arco narrativo principale.

Una serie che è in un certo senso l’ideale “proseguimento” delle ben più celebri e celebrate “Watchmen” e “Batman – Il ritorno del cavaliere oscuro”, all’interno di quella corrente nota come “revisionismo supereroistico”, dove si realizzano opere tese a “portare all’estremo” l’umanizzazione della figura del supereroe.  Se in “Watchmen” venivano esplorati i lati più oscuri e inconfessabili dei supertizi, se nel “ritorno del cavaliere oscuro” il confronto è con l’impietoso scorrere del tempo, in “Rising Stars” si risponde alla domanda “cosa succederebbe se questi supertizi, un giorno, piovessero dal cielo e ce li ritrovassimo nel mondo reale?”  E la risposta, in un certo senso, è quella che ogni lettore vorrebbe sentirsi dare, sia pure in un modo mai banale e scontato.

Si vocifera che sia in preparazione una mega-raccoltona in volume di tutta la serie:  non posso che consigliarvi di non lasciarvela sfuggire.  O, in alternativa, se proprio non riuscite ad aspettare, di procurarvi una delle edizioni esistenti.  Per quanto mi riguarda, sarei felicissimo se finalmente riuscissero a farne un film, se non altro perché invoglierebbe un sacco di gente a recuperare il fumetto.

EDIT: la mega-raccoltona in volume è poi effettivamente stata realizzata, ANCHE SE raccoglie solo la serie principale e non gli spin-off. Per il film invece, ancora non so niente. Spes ultima dea.

Kimota!

(Articolo pubblicato originariamente su Il Baffo, il defunto blog del Karemaski, il 23 aprile 2014)

C’è stato un tempo in cui non esisteva il revisionismo supereroistico, quella corrente autoriale di cui abbiamo già accennato brevemente in un pezzo dei mesi scorsi.  Questo tempo è durato fino al 1982, cioè fino a quando Alan Moore decise di riportare in auge il personaggio creato originariamente nel 1953 da Mick Anglo con il nome di Marvelman.

      Il Marvelman creato da Mick Anglo nel 1953 era un po così.

Per un periodo di tempo abbastanza lungo, in Italia su Miracleman cè stata più letteratura scritta che albi pubblicati, per questioni di diritti talmente lunghe, complicate e tediose che non è il caso di riportare qui:  se proprio siete curiosi, cliccando qui vi farete unidea abbastanza attendibile di quelle che sono state le peripezie editoriali legate al personaggio.  Ai fini di quanto dobbiamo dirvi in questa sede, ovvero che Miracleman è un fumetto che va letto in tutti i modi, vi basti sapere che due mostri sacri del fumetto contemporaneo come Todd McFarlane e Neil Gaiman si sono scornati per anni per vie legali al fine di poter detenere i diritti del personaggio.  Per dare una vaga idea di quanto importante sia Miracleman nella storia del fumetto mondiale contemporaneo, vi basti sapere che non è affatto azzardato né improprio affermare che cè un mondo del fumetto supereroistico prima di Miracleman e un mondo del fumetto supereroistico dopo Miracleman.  Ci rendiamo conto che sembra una frase fatta, una di quelle cose che si dicono sempre in questi casi, ma cè un metodo infallibile per scoprirlo:  in questi giorni, è uscito per i tizi di Panini Comics il primo numero di quella che auspicabilmente sarà ledizione italiana integrale delle avventure di Micky Moran, per giunta a un prezzo di lancio di 1,99 eurini.  Il consiglio che ci sembra il caso di darvi, è di prendere il numero 1, e almeno anche i successivi tre o quattro.  Sono fumetti che sono stati pubblicati una ventina danni fa, ma non hanno perso neanche un briciolo del loro smalto.  Basta leggersi il primo numero per capire che quello che si ha fra le mani è un pezzo di storia dei comics.

Ok, fine della parte celebrativa.  Fate finta che lunica cosa che ci fosse scritta sopra sia è appena uscito il numero 1 di Miracleman. Decontestualizzate, decomprimete, lasciate stare le beghe legali e la storia del fumetto americano, accantonate il revisionismo supereroistico, il prima, il durante e il dopo.  Fate un respiro profondo. Continuate a leggere.

[Passaggio alla prima persona singolare] Facciamo finta che uno entri in edicola o in fumetteria e veda che cè questo numero 1 negli scaffali.  Riuscite a dirmi un solo motivo per cui uno dovrebbe perdersi un fumetto che ha avuto tra i propri autori Alan Moore (quello di V per Vendetta, di Watchmen e di un sacco di altre cose fighe, anche se ultimamente è entrato anche lui nel sempre meno esclusivo club di quelli che sputano nel piatto in cui hanno mangiato per decenni), Neil Gaiman (che potreste aver sentito dire per Sandman, o per alcuni suoi notevoli romanzi tipo Stardust, American Gods, Nessun dove e I ragazzi di Anansi), Alan Davis (uno che ha disegnato Batman e praticamente tutti i personaggi della Marvel, dagli X-Men agli Avengers, da Capitan America a Iron Man) e Barry Windsor-Smith (uno che ha vinto una quantità imprecisata di premi per i suoi lavori sul fumetto di Conan, che ha realizzato una delle storie di Wolverine più belle di sempre e che dal 2008 è nella Hall of Fame del fumetto mondiale)? No, non riuscite a dirmelo, perché non cè. Punto.  Anzi, faccio una cosa che di solito non si fa, in una recensione:  cito quello che ha detto un altro recensore, perché avrei voluto dirlo io ma sono arrivato dopo.  Se dovete troncare qualche testata per rientrare nelle spese, fatelo, se necessario smettete anche di fumare (è la cosa più inutile del mondo), o di sfondarvi il fegato in aperitivi quotidiani dove tanto, ormai a parte il conto da pagare, o la promessa di una cirrosi epatica, non rimediate molto altro. Insomma tagliate qualcosa di superfluo nella vostra vita, perchè finalmente, arriva in Italia, qualcosa di fondamentale [Fine dell’uso della prima persona singolare]

Tutto questo, senza avervi anticipato nulla della storia, o se preferite unespressione più alla moda senza fare alcuno spoiler sulla trama. Che sostanzialmente si dipana attorno ad un tema:  che succederebbe se un supereroe si trovasse calato davvero nel mondo reale?  Il tipo di operazione letteraria che avevano tentato le major americane (i supereroi con superproblemi), senza però riuscire a portarla a compimento, viene qui realizzata appieno. Retrospettivamente, la grandezza di MM è tutta qui, nel prendere gli elementi di ingenuità tipici del fumetto dei supereroi (per attivare i propri superpoteri, Micky Moran deve pronunciare la parola segreta che è la chiave armonica delluniverso, ossia Kimota!, che altro non è che Atomic letta al contrario, con la K al posto della C per non alterarne la pronuncia) e fargli avere un brusco risveglio, come quando da bambini si realizza che le cose che immaginiamo di poter fare non riusciremo mai a farle davvero.  Ed è stato il primo a riuscirci senza se e senza ma, a portare il tema a compimento senza aver paura delle conseguenze.  In poche parole, Miracleman di Alan Moore è il compagno di classe più grande che rivela per primo al mondo del fumetto che Babbo Natale non esiste. Direi che basta questo per capire che non è davvero il caso di perderselo.

Zagor: più che un fumetto, uno scrigno di tesori (letterari)

(Articolo pubblicato originariamente su Il Baffo, il defunto blog del Karemaski, il 21 settembre 2013)

A modesto parere di chi scrive, la distinzione tra Letteratura e fumetto è sempre stata piuttosto artificiosa, visto che in entrambi i casi a fare la differenza è il saper raccontare bene (o meno bene) una storia.  Non a caso, infatti, i “generi letterari” sono spesso facilmente sovrapponibili a quelli fumettistici.  Si parla di fumetti – tanto per citare alcuni generi noti ai più – “Noir”, “Fantascientifici”, “Horror” e “Avventurosi” allo stesso modo in cui si parlerebbe di romanzi dei medesimi generi.  Così, la longevità di una testata fumettistica è spesso legata in maniera indissolubile alla sua capacità di saper interpretare (e, laddove necessario, reinventare) le regole del proprio genere letterario “di riferimento”.  In uno dei pezzi passati di questa rubrica, abbiamo parlato di Tex, che potremmo definire il fumetto western per antonomasia, capace di sopravvivere all’evolversi dei gusti e al succedersi delle stagioni solo con minimi accorgimenti.  In questo senso, invece, Zagor, che con Tex condivide la casa editrice (e l’ultracinquantennale storia editoriale) è l’eccezione che conferma la regola.

La storica copertina de La foresta degli agguati, primo                                         numero di Zagor

Zagor, infatti, non ha un genere letterario a cui fare “rigidamente” riferimento:  potremmo definirlo un fumetto di genere “avventuroso”, ma sarebbe riduttivo, viste le innumerevoli escursioni nell’horror, nel giallo, nel western (sia pure un western molto contaminato e per certi versi ante litteram).  Zagor ha piuttosto un minimo comune denominatore, che è quello che è stato brillantemente sintetizzato da Moreno Burattini, curatore della testata che dal 1961 è ininterrottamente presente nelle edicole italiane: il Sense of wonderZagor è un personaggio dalle potenzialità narrative praticamente sconfinate:  nelle sue storie possiamo trovarlo in compagnia di trappers o a lottare contro dei vampiri, alleato dei Mohawk del suo fratello di sangue Tonka o di fronte ad una minaccia aliena, possiamo trovarlo a fronteggiare le ambizioni di una compagnia ferroviaria senza scrupoli o imbarcato in una nave che lo porta in Islanda, o in Africa, o, come nel caso delle storie attualmente in corso di pubblicazione nell’albo mensile, in una lunga trasferta che tocca tutto il centro e il Sud America.  La sua capanna nelle paludi di Darkwood, infatti, è spesso solo la base di partenza per avventure che di volta in volta lo vedono affrontare variopinte minacce, sempre in compagnia del fidato pard Cico, messicano dall’appetito insaziabile, creato come spalla comica ma evolutosi poi in un personaggio in grado di affiancare Patrick Wilding (questo il vero nome di Zagor) in tutte le sue peripezie.

Negli anni, hanno firmato le avventure di Za-Gor-Te-Nay autori del calibro di Sergio Bonelli (che di Zagor è stato il creatore con lo pseudonimo di Guido Nolitta, insieme a Gallieno Ferri che dal 1961 ad oggi ha firmato tutte le copertine degli albi dello Spirito con la scure), G. L. Bonelli (papà di Sergio, e soprattutto papà di Tex), Mauro Boselli, Tiziano Sclavi, Moreno Burattini, Marcello Toninelli.  E sempre a modesto parere di chi scrive, non è certo sacrilego affermare che oggi come oggi Zagor è, per il livello qualitativo delle storie prodotte e dei disegnatori che si alternano sul personaggio, il miglior fumetto che ogni mese esce da Casa Bonelli, nonché uno dei più “vitali”, come dimostrano anche le ripetute proroghe alla Collezione Storica a Colori pubblicata in collaborazione con Repubblica.  Di Zagor, a cui il cantautore Graziano Romani ha dedicato un concept album intitolato King of Darkwood, di Sergio Bonelli, dello stato di salute della testata (e del fumetto italiano) e di progetti per il futuro, abbiamo parlato proprio con Moreno Burattini.  Questo è quello che ci ha detto.

 1. Za-gor-te-nay, lo Spirito con la scure, è un personaggio che dimostra ancora uneccezionale vitalità a dispetto dei suoi 52 anni di storia editoriale. Quanta parte del merito va allintuizione iniziale che ha portato alla nascita del personaggio, e quanta invece allabilità dei grandi autori che negli anni si sono avvicendati nella realizzazione delle storie del personaggio?

 Guido Nolitta e Gallieno Ferri, nel 1961, ebbero sicuramente una grande intuizione: quella di creare un personaggio che fosse trasversale ai generi, che potesse venire contaminato da qualunque suggestione, partendo però da una ambientazione di base realistica e soprattutto “rassicurante” per i lettori dell’epoca, abituati ai fumetti western e a vedere al cinema film con indiani e cowboy. Ma giusto per spostare il tiro rispetto ai tradizionali scenari del West, Zagor venne collocato non nel Sud Ovest ma nel Nord Est, non nella seconda metà dell’Ottocento, ma nella prima. Eroe della frontiera, sì, ma della Vecchia Frontiera: qualcosa di più esotico, dunque. Una scelta che preludeva appunto a tutta una serie di impreviste variazioni su tema e tutta la gamma delle contaminazioni possibili in cui il western e l’avventura si intrecciavano con il fantasy, l’horror, la fantascienza, il racconto storico, il giallo, l’umorismo. È chiaro che un personaggio così pronto a cambiar casacca restando però fedele, nello stesso tempo, alla sua impostazione di fondo, ha nel DNA la capacità di resistere al passaggio delle stagioni e adeguarsi ai tempi che cambiano. Tuttavia, non saremmo arrivati a cinquantadue anni di ininterrotto successo se le premesse iniziali non fossero state ben comprese e ben interpretate da una pattuglia di altri autori, sceneggiatori e disegnatori, che nel corso dei decenni hanno raccolto l’eredità dei creatori. In questo, io e tutti gli altri che siamo stati chiamati a questo difficile compito, siamo stati aiutati fino a 2011 dalla presenza di Sergio Bonelli rimasto al nostro fianco a indicare la rotta e di Gallieno Ferri che è ancora oggi tra noi con le mani saldamente sul timone.

 2. Tu sei da qualche tempo il curatore, nonché uno degli autori più prolifici, di un personaggio che è stato ideato e scritto per anni da Sergio Bonelli in persona. Quanto ti è stato utile poter lavorare fianco a fianco con lui (e con Gallieno Ferri, creatore grafico del personaggio e copertinista da oltre cinquantanni), e quanto senti oggi la responsabilità di questo ruolo?

 Alla responsabilità preferisco non pensare per non sentirmene schiacciato. Prima di essere un autore, io di Zagor sono un lettore, e lo sono da tempo immemorabile. Non faccio il mio lavoro come se si trattasse di svolgere un compito qualunque ma come se fosse una missione. So che intere schiere di zagoriani si aspettano da me l’impossibile, dato che vorrebbero rivivere la “magia” della loro infanzia, ma non potendo far tornare tutti giovani, cerco di non far invecchiare il personaggio. Sergio Bonelli mi ha scelto personalmente venticinque anni fa e mi ha confermato la sua fiducia fino al momento della sua scomparsa, che ha lasciato in me un grande vuoto. Non c’è stato un giorno in redazione in cui non mi sia confrontato con lui. Gallieno Ferri è un uomo di straordinaria umanità, per me un secondo padre. Incredibilmente lo sento spesso ringraziarmi, in pubblico e in privato, per quello che instancabilmente cerco di fare per Zagor, quando sono io che devo tutto a lui e a Nolitta.

3. Oltre allalbo mensile, attualmente escono ogni anno due Maxi Zagor, uno speciale, uno Zagorone, un Color Zagor, un Almanacco dellAvventura, più gli albi (settimanali) della Collezione Storica a Colori, le ristampe (bimestrali) degli speciali dedicati a Cico, e le numerose pubblicazioni a cura dei fan. Una vitalità incredibile, e in aumento costante: cè dellaltro che bolle in pentola, sul fronte editoriale?

 L’Almanacco dell’Avventura, in realtà, è stato sostituito dal Color Zagor. Circa il resto, l’incredibile non è la vitalità dello Spirito con la Scure ma il fatto che venga dimostrata in un contesto di gravissima crisi dell’editoria italiana, non soltanto a fumetti. Noi teniamo duro, come dimostra il succedersi degli “allunghi” della Collezione Storica a Colori di Repubblica, una collana che avrebbe dovuto contare trenta volumi e che si appresta a superare i cento, nonostante i chiari di luna. Sul fronte editoriale si prepara il n° 600, che sarà seguito dal tanto atteso ritorno di Hellingen. A Lucca Comics 2013 saranno presentati il volume “Zavor” (parodia in chiave “deformed” di Daniela Zaccagnino ed Elena Mirulla), edizioni Cronaca di Topolinia, e il saggio “L’arte di Ferri”, scritto da Graziano Romani, edito da Panini.

                           La copertina del numero 24 della Collezione Storica a Colori, Il passato di Zagor

 4. Sempre in tema di vitalità del personaggio, parlaci un po di Noi, Zagor, film documentario realizzato da Riccardo Jacopino nelle sale il 22 e 23 ottobre

 Si tratta di un film distribuito in oltre cento sale cinematografiche di tutta Italia, dopo due anni di lavorazione. Di “Noi, Zagor il regista Riccardo Jacopino aveva presentato alcuni spezzoni già in occasione di Lucca Comics & Games dello scorso autunno. Si tratta di un entusiasmante viaggio “dietro le quinte”, in mezzo agli autori e ai loro collaboratori, fra le scrivanie e i tavoli da disegno di chi lavora quotidianamente, da oltre cinquant’anni, alla realizzazione delle storie dello Spirito con la Scure. Ma è anche un reportage su tutto l’universo di emozioni che anima il pubblico zagoriano, soprattutto quello della folta schiera di appassionati che popola i raduni dei fan così come gli incontri durante le fiere del fumetto, ma anche quello che colleziona gli albi e va a caccia dei numeri più rari. Zagor non è soltanto un fumetto, è un universo: Jacopino lo descrive come mai nessun altro prima, dopo aver seguito per mesi, con la sua cinepresa e i suoi microfoni, comics convention in Italia e all’estero, filmato sceneggiatori e disegnatori nelle loro case, realizzato decine di interviste, tra cui quella, fondamentale, a Gallieno Ferri, il creatore grafico del personaggio. Il tutto, confezionato in 70 minuti di film il cui titolo, “Noi, Zagor”, è davvero il più efficace possibile. Le sale saranno distribuite in tutta Italia, ma l’elenco esatto con gli orari delle proiezioni verrà reso noto una decina di giorni prima dell’evento e lo potrete consultare visitando il sito della nostra casa editrice o quello di Microcinema, che distribuisce l’opera, all’indirizzo www.microcinema.eu. Dopo il passaggio al cinema, il documentario uscirà anche in DVD, anche se ci vorranno alcuni mesi di pazienza, ma nel frattempo, molto probabilmente, sarà possibile vederlo in TV.

 5. Un grande personaggio a fumetti è connotato anche in relazione ai comprimari che lo affiancano e ai nemici che si trova a dover affrontare di volta in volta. Luniverso zagoriano, in questo senso, è indubbiamente uno dei più ricchi del panorama fumettistico italiano. Ma al Burattini autore chiediamo: quale comprimario è più difficile da gestire? E qual è il villain su cui ti piacerebbe scrivere una storia, un giorno?

 Sulla ricchezza del microcosmo zagoriano si potrebbero scrivere delle enciclopedie. Del resto, tutto l’apparato critico che introduce i volumi della Collezione Storica di Repubblica se venisse raccolto in un unico saggio formerebbe un tomo pesantissimo. Non ho difficoltà con nessun comprimario nolittiano, essendo io cresciuto a pane e Nolitta; casomai avrei qualche remora, dubbio o perplessità dovendo gestire uno dei personaggi ideati e inseriti nella serie da altri autori, come per esempio Tim Cuorepuro o il pellerossa “contrario” Heyoka di Boselli. Circa i villain, sogno di poter riprendere in mano, un giorno, Supermike. Riportandolo alle caratteristiche iniziali.

 6. Ultima, doverosa domanda. Poiché questo pezzo sarà letto soprattutto da persone che NON sono lettori di Zagor, come facciamo a spiegargli cosa si perdono?

Si potrebbe cominciare con il proporre la domanda: ci sarà pure un motivo se da cinquantadue anni Zagor continua a uscire in edicola e oggi siamo qui a parlarne, o no?

Alcuni episodi fondamentali di Dylan Dog

(Articolo pubblicato originariamente su Il Baffo, il defunto blog del Karemaski, il 16 aprile 2013)

Quando si prepara un post del genere, ovviamente ci si espone ad un fuoco di fila che non è evitabile. Dylan Dog è uno dei fumetti di maggior successo in Italia, in termini di vendite, da… uhm, facciamo da quando esiste il fumetto? Ergo, non potendo evitare strali, critiche, vilipendi e quant’altro, ho deciso – sia benedetto il mezzo del blog – di fare come mi pare, e di segnare semplicemente i dieci episodi dei quali IO non avrei potuto fare a meno. E se almeno un pochino vi fidate di me, dovreste proprio leggerli.

[Nota doverosa per il lettore: la numerazione da 1 a 10 non rappresenta una classifica, quanto piuttosto una catalogazione in ordine cronologico.]

1. L’alba dei morti viventi (Serie regolare, numero 1, ottobre 1986)

Come fate a leggere un fumetto se non ne avete letto il primo episodio, la genesi di tutto quanto? Un episodio che deve tantissimo ai film “classici” sugli zombi di George Romero, che inaugura (ovvio, in quanto numero 1) il periodo “citazionista” dell’Indagatore dell’Incubo:  una serie di episodi, scritti per la maggior parte da Tiziano Sclavi, in cui individuare le citazioni di film, dischi, libri e varie amenità è stato un gioco divertente anche per i lettori.  Ad impreziosire il tutto, i disegni di quello che chi scrive ritiene tuttora il miglior disegnatore in forza alla serie: Angelo Stano.

2. Gli Uccisori (Serie regolare, numero 5, febbraio 1987)

Sempre parlando di disegnatori, e giusto per ribadire la propensione al campanilismo di chi scrive, questo è il primo episodio di DD ad essere stato disegnato da un aretino, il “magnusiano” Luca Dell’Uomo. Basta questo a farlo entrare in questa top ten? Evidentemente no.  Da “Gli uccisori” è stato anche tratto il primo videogame dedicato a Dylan Dog, per il [lacrimuccia] Commodore 64, e come se ciò non bastasse, è un episodio pieno di quella che qualcuno ama chiamare violenza “gratuita”, probabilmente il primo a far scandalizzare diversi benpensanti.  Non a caso, tra i cammei di quest’albo ci sono due personaggi che con la “violenza gratuita” hanno un bel po’ a che fare: Anthony Burgess (che se non sapete chi sia io non vi voglio neanche conoscere) e Dario Argento.

3. Morgana (Serie regolare, numero 25, ottobre 1988)

Ancora una volta, alle matite abbiamo Angelo Stano, e non è un caso. Un episodio dalla trama surreale (surrealista?), che introduce un personaggio fondamentale, che semina indizi talmente importanti per il futuro della serie che – ne sono ragionevolmente sicuro – all’epoca nessuno se ne rese conto, tranne forse Tiziano Sclavi, che ça va sans dire, di DD è stato per lunghissimo tempo il deus ex machina. Un episodio che potreste leggere anche se non avete mai letto Dylan Dog prima d’ora.  Forse l’albo letto e riletto più volte da chi scrive, dopo “Storia di nessuno”, di cui parliamo tra poco.

4. Orrore nero (Serie Speciali, numero 3, estate 1989)

Avete mai sentito parlare di “Dellamorte Dellamore”, romanzo di Sclavi che ha visto la luce nel 1991, da cui tre anni dopo è stato tratto un trascurabile film con Rupert Everett e Anna Falchi?  Magari sì o magari no, non è fondamentale.  Il fatto importante è che questo romanzo, a quanto pare, era stato scritto da Sclavi nei primi anni ottanta e poi in parte smarrito, ma conteneva in sé una versione molto acerba e molto in fieri dell’indagatore dell’incubo che sarebbe stato.  “Orrore nero”, uscito due anni prima del romanzo, ripercorre questo percorso, mostrando affinità e divergenze tra Francesco Dellamorte e Dylan Dog, tra l’indagatore che avrebbe potuto essere e quello che invece è stato.

5. Storia di nessuno (Serie regolare, numero 43, aprile 1990)

…che di “Morgana” rappresenta il seguito, forse ancora più estremizzato nel suo essere “nonsense” eppure fondamentale per la storia del personaggio, tra citazioni borgesiane e Sclaviane (l’episodio pesca a piene mani da “Tre”, romanzo scritto dallo stesso autore di Dylan Dog); per mesi la redazione bonelliana venne tempestata da lettere che chiedevano più o meno “ma che diavolo è successo in Storia di nessuno?” Inutile tentare di spiegarvi anche la trama. Vi basti sapere che questo, oltre ad essere un altro episodio clou per la saga dylaniata, è – a modesto giudizio di chi scrive – l’episodio con la copertina più bella (all’epoca, ne feci fare una maglietta), i disegni migliori e una trama che sconfina nel Fumetto d’Autore (brr…)

6. Caccia alle streghe (Serie regolare, numero 69, giugno 1992)

Ovvero, la reazione Dylandoghiana (o meglio, sclaviana) alla new wave maccartista che in Italia, nei primi anni ’90, cercava di moralizzare il mondo del fumetto e del cinema horror, in un periodo in cui erano state scoperte le pentole su ben altre amoralità del nostro Paese. Una storia “a finale aperto”, dove la decisione riguardo al finale deve essere presa dal lettore.  Una storia in cui anche l’humour di Groucho è un po’ meno “leggero”, soprattutto in una battuta che abbiamo sentito ripetere molte altre volte, in altri contesti.  “Dire che il fumetto horror travia i giovani è un insulto idiota!” “Al fumetto horror?” “No, ai giovani!”

7. Il lungo addio (serie regolare, numero 74, novembre 1994)

Una storia su un amore adolescenziale di Dylan Dog, ambientata durante una vacanza al mare, splendidamente illustrata da Carlo Ambrosini, uscita per la prima volta in un piovoso novembre quando chi scrive aveva quindici anni. Chiaro come il sole che mi sarebbe rimasta nel cuore, altrettanto chiaro che mi sarebbe rimasta impressa in mente anche oggi, a quasi vent’anni di distanza, perché mi ha fatto capire che gli universi narrativi possibili di questo personaggio sono pressoché infiniti, basta saperli cercare.  È stato forse con questo episodio che si è veramente capito che DD era un fumetto che sarebbe potuto durare a lungo.

8. La storia di Dylan Dog (serie regolare, numero 100, gennaio 1995)

La storia che chiude l’ideale “tetralogia” che comprende anche i numeri 1, 25 e 43.  Firmato, come i precedenti, da Sclavi & Stano, è l’episodio che all’epoca tutti i lettori di Dylan Dog aspettavano.  Chi è realmente Xabaras? Come nasce l’amore impossibile di Dylan Dog per Morgana? Riusciremo a capire qualcosa in quello che è successo in “Morgana” e in “Storia di nessuno”? Questo albo comincia a dare alcune risposte, a tirare le fila di un personaggio noto sì per gli episodi autoconclusivi, ma che ha un passato, un presente e una serie infinita di possibili futuri.

9. Il numero duecento (serie regolare, numero 200, maggio 2003)

In una sola frase, “come l’indagatore dell’incubo è diventato l’indagatore dell’incubo”. L’alcolismo, l’abbandono di Scotland Yard, la nascita del rapporto con Groucho, l’acquisto del galeone, la citazione di Zanardi di Andrea Pazienza:  un albo da gustare pagina dopo pagina, con una Barbato (purtroppo) mai più a questi livelli e un Bruno Brindisi, recentemente diventato copertinista per la ristampa a colori di Repubblica, giunto finalmente ad una notevole maturità artistica.  Se uno volesse capirci qualcosa, del personaggio di Dylan Dog e del perché ha così tanto successo, potrebbe anche leggersi solo quest’albo.

10. Mater morbi (serie regolare, numero 281, gennaio 2010)

Dylan Dog è malato, di un misterioso morbo del quale nessuno riesce a capire niente.  Mater morbi è “la madre di tutte le malattie”.  Una storia che invita a riflettere sulla condizione psicologica dei malati gravi, sull’eutanasia, sulla sofferenza umana.  Una storia che ha riportato l’Indagatore dell’Incubo alla ribalta delle cronache, non solo fumettistiche, con tanto di interrogazioni parlamentari e altre amenità varie.  Un albo in parte autobiografico, scritto da uno degli autori più in vista del fumetto italiano contemporaneo, Roberto Recchioni, che di sé stesso dice di essere “diversamente sano”, e disegnato da un maestro conclamato del fumetto italiano, quel Massimo Carnevale che chi scrive vorrebbe come prossimo copertinista di Dylan Dog.  Un episodio che dimostra come il personaggio di Dylan Dog può ancora dire qualcosa di nuovo, un albo talmente ben accolto dai lettori che la BAO Publishing, casa editrice giovane ma assai competente, ne ha appena realizzata una versione “deluxe” per il mercato librario.

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La copertina dell’edizione in volime di “Mater Morbi” edita da BAO Publishing

Un personaggio, quello dell’Indagatore dell’incubo, che diverse volte è stato dato per morto, ma che a parere di chi scrive non ha ancora esaurito le sue potenzialità narrative.  E che comunque da oltre un quarto di secolo continua a godere di un’invidiabile vitalità. E a testimoniare quanto ho scritto, ci sono le decine e decine di storie che NON sono rientrate in questa top ten.  Se conoscete il personaggio, potete aggiungerle voi.

Alcune cose belle fatte da Frank Miller [prima che baltasse di capo]

(Articolo pubblicato originariamente su Il Baffo, il defunto blog del Karemaski, il 22 gennaio 2014)

Uno vede un tipo come Frank Miller, sempre in giro in giacca scura e bombetta, un po’ come Tom Waits in Daunbailò, e gli sembra un tipo ganzo.

It’s a sad and beautiful world…

            It’s a sad and beautiful world…

Poi dà un’occhiata al suo portfolio, o alle cose che ha fatto in passato, e gli sembra un tipo ancora più in gamba.

Si, perché Frank Miller è uno di quelli che, dopo aver cominciato a lavorare con le “major” come disegnatore dell’Uomo Ragno (in un bellissimo episodio di Marvel Team-Up del 1980, sceneggiato da Chris Claremont e intitolato “introducing: Karma!”), ha contribuito a trasportare il fumetto americano nell’età adulta.  Nei pezzi scorsi di questa rubrica, abbiamo parlato di V per Vendetta e di Watchmen, del concetto di “revisionismo supereroistico” e di tante altre belle robe.  Tutte cose che sono state oggetto di studi molto più approfonditi e competenti di quanto in questo spazio si possa disquisire.  Alcune delle pagine più belle del fumetto americano degli anni ottanta e novanta, sempre su questo filone, sono state firmate proprio da lui, da quel Miller che ha dapprima rivoltato come un guanto il personaggio di Daredevil, introducendo il personaggio di Elektra e realizzando le splendide saghe “L’uomo senza paura” e “Rinascita”, più volte (meritatamente) riproposte in volume e disegnate rispettivamente da John Romita Jr. e David Mazzucchelli.  Poi, non contento, si è dedicato a Batman, per cui ha realizzato testi e disegni de “Il ritorno del cavaliere oscuro” (e se questo titolo non vi dice niente, beh, io non so come fare con voi) e “Batman: Anno Uno”, ancora con Mazzucchelli, saga altrettanto bella anche se un po’ meno nota.  Poi, dopo aver fatto le fortune di Marvel e DC Comics, ha creato per la Dark Horse Comics il personaggio di Martha Washington (di cui consiglio fortemente il recupero) e subito dopo la fortunatissima serie di “Sin City” (anche questa dovrebbe dirvi qualcosa, specialmente se siete fan di Robert Rodriguez e/o di Jessica Alba), di cui ha realizzato nuovamente testi e disegni, in un bianco e nero all’epoca decisamente non-mainstream nel fumetto americano, che diventerà il marchio di fabbrica della serie, i cui contenuti rimandano alla tradizione del noir e ancor di più dell’hard-boiled, sia in campo romanzesco che cinematografico, a stelle e strisce. Su Sin City, che è l’opera che ha definitivamente proiettato Frank Miller nell’olimpo dei comics USA (ad oggi, questa serie ha fruttato a Miller ben otto Eisner Awards, l’equivalente fumettistico del Premio Oscar, per dire), sono stati versati fiumi e fiumi di inchiostro, sono state scritte opere di saggistica, tesi di laurea e quant’altro:  per alcuni si tratta del punto più alto del fumetto americano degli anni novanta, per altri un’opera trascurabile (per l’eccessiva essenzialità dei disegni, delle trame, dei dialoghi), per chi scrive una lettura imprescindibile.  Non pago, sempre per la casa editrice del cavallo nero realizza anche la saga di “300” (anche qui: se negli ultimi tempi avete notato un deciso aumento dell’uso delle parole “spartano” e “Termopili”, ecco, probabilmente una parte della responsabilità è sua) e un mucchio di altre cose.  Inoltre, ha messo la sua “griffe” anche in casa Image Comics, scrivendo il numero 11 della serie “Spawn” e il crossover “Spawn/Batman”.  Si è dedicato anche, a vario titolo, alla realizzazione di progetti cinematografici (co-sceneggiando “RoboCop 2″, “RoboCop 3″, “300″, “Sin City” e dirigendo “The Spirit“, adattamento del fumetto di Sua Maestà Will Eisner, quello dei premi di cui sopra).  Insomma, uno dei nomi indubbiamente di punta del fumetto mondiale degli ultimi trent’anni. Fino a “Holy Terror”, la sua opera più controversa, quella che a parere di chi scrive avrebbe potuto risparmiarsi, quella che gli ha portato più rogne e critiche che altro.

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                                           La cover dell’edizione USA di Holy Terror

Uscita nel 2011 per la casa editrice Legendary, “Holy Terror” è una di quelle storie di cui si è sentito parlare per quasi un decennio prima che vedesse effettivamente la luce, e che avrebbe fatto meglio a rimanere nel cassetto di chi l’ha concepita.  Si cominciò a parlare di questa storia come di un possibile albo fuori serie di Batman, che avrebbe dovuto rappresentare la reazione del Crociato Incappucciato agli attacchi terroristici contro gli USA, ma che poi è diventata una storia a sé stante. A detta del suo creatore, perché ad un certo punto aveva deciso che non sarebbe più stata una storia di Batman.  Secondo altre versioni, perché la DC Comics la riteneva troppo provocatoria per essere pubblicata con l’alter ego di Bruce Wayne come protagonista.  Definito da Miller stesso un fumetto propagandistico, una sorta di attualizzazione dei comics degli anni ’40, quelli in cui Superman e Capitan America prendevano a calci in culo Hitler e i Nazisti, una storia “bound to offend just about everybody” (sempre per usare le parole dell’autore), in sostanza un fumetto dove The Fixer è l’incarnazione dell’idea di patriottismo del suo autore, e lotta contro Al Qaeda nel più semplicistico dei bianco contro nero, buono contro cattivo eccetera.  Insomma, ci siamo capiti.

Ora, per non parlare troppo del “personaggio” Miller, delle sue idee ultraconservatrici e del suo patriottismo quasi grossolano, bisogna riportare tutto nel suo giusto contesto.  Frank Miller è un grande del fumetto, e se non avete letto niente di lui vi consiglio di rimediare al più presto, perché c’è tanta, tantissima roba che non è semplicemente degna di essere letta, ma è realmente di altissimo livello.  Dare un giudizio su Miller solo sulla base di Holy Terror è un approccio miope e altrettanto semplicistico di quanto ha fatto lui in questa sua controversa opera.  Il dibattito tra opere scritte e biografie dei loro autori è talmente lungo da essere ormai fine a sé stesso, e va da Gabriele D’Annunzio a Giovanni Lindo Ferretti e via discorrendo, che volete che sia un Frank Miller in più o in meno in questo calderone.  Il punto di vista di chi scrive è abbastanza chiaro già dal titolo di questo pezzo, magari a voi potrebbe piacere pure Holy Terror (in italiano, è uscita per Bao Publishing col titolo “Sacro Terrore” nel 2012).  Ecco, in tal caso, non ditemelo, fa lo stesso.

Per la cronaca, la Bao Publishing è la stessa che pubblica Zerocalcare, autore di fumetti nato nella nostra città (ma cresciuto altrove, tra la Francia e Roma).  Non lo conoscete? Beh, per oggi abbiamo parlato di Miller, voi intanto documentatevi su Zerocalcare e sono certo che non ve ne pentirete.

“Potevamo non cominciare da V per Vendetta?”

(Articolo pubblicato originariamente su “Il Baffo”, defunto blog del Karemaski, 4 aprile 2013)

Con questo pezzo prende il via una rubrica che forse mancava e forse no, per il Baffo, nata dopo questo intenso scambio di messaggi su un noto social network (cito più o meno testualmente):

Rob: “Mi è appena venuta in mente una cosa: ma com’è che nel blog del Baffo nessuno parla di fumetti?

Baffo: “Mi è appena venuta in mente una cosa: ti va?”

Prende il nome di Graphic Nobel e non ha la pretesa di svelarvi costosissime proposte autoriali, o fumetti talmente underground che forse non li hanno letti nemmeno i loro presunti autori. Per quello ci sono già decine di siti specializzati, che li saprebbero recensire molto meglio di quanto non possa fare l’estensore del presente pezzo. Diciamo piuttosto che qui si tratterà di un tot di fumetti più o meno popolari, più o meno conosciuti, che chi scrive ha letto e si sente di consigliarvi, ecco.

La risposta alla domanda che dà il titolo al pezzo è, ovviamente, sì: potevamo cominciare da Yellow Kid. Ma il bello di un blog è che uno può, dentro certi ovvi limiti, fare un po’ come gli pare. Quindi, parliamo di V, perché sì [rima neanche troppo involontaria].

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In principio erano Warrior e la Quality Comics. Ventiquattro anni prima del film di McTeigue (su sceneggiatura dei fratelli Wachowski), un allora ventinovenne Alan Moore concepì, per le matite di David Lloyd, questa miniserie a fumetti, destinata a lasciare il segno, ma solo anni dopo, nel mondo del fumetto e ancor di più nell’immaginario collettivo. La rivista Warrior, infatti, chiuse dopo 27 numeri, lasciando incompiuta la storia di V, fino a quando l’americana DC Comics (quella di Batman e Superman, ma anche di Sandman, Watchmen ed Hellblazer, tutta roba di cui prima o poi toccherà parlare) nel 1988 ottenne i diritti per ristamparla, a colori, svelando ai lettori il deflagrante finale che Moore aveva ideato per questa storia.  Ma se ad Alan Moore dobbiamo l’idea dell’eroe/vigilante/anarchico V, è all’illustratore David Lloyd che va attribuito il look à la Guy Fawkes, diventato poi celebre in tutto il mondo grazie ad Anonymous e ai numerosi flash mob di protesta nei quali i partecipanti indossano la maschera di V.  Peraltro, dei due autori, Alan Moore non ha accettato di comparire nei titoli di testa (come del resto ha fatto per ogni altro film tratto dalle sue opere), mentre David Lloyd compare nei credits come autore della graphic novel  originale.  Ma perché V per Vendetta è diventato tanto famoso?  Un po’ per l’efficacia del main character, indubbiamente.  E un po’ per il ritmo e l’evolversi della storia, fictional ma non troppo, fantascientifica ma solo fino ad un certo punto, ambientata in un futuro prossimo che potrebbe diventare presente in qualsiasi momento.  Una storia, come dice il suo autore, “sul fascismo, sull’anarchia, sull’Inghilterra”. Ambientato (all’epoca) una quindicina di anni nel futuro, racconta di un’Inghilterra retta con pugno di ferro da una dittatura fascista, che controlla l’informazione, vieta l’arte, pratica la pulizia etnica verso le minoranze e gli omosessuali.  Contro questo stato di cose si erge V, una figura metaforica che cerca vendetta per i soprusi (da lui stesso?) subiti, e invita il popolo a ribellarsi.  Nel frattempo, V si autoproclama pigmalione di Evey, che lui stesso ha salvato dalle forze di polizia, lasciando intendere che… no, questo non posso proprio dirvelo, altrimenti rischierei di rovinarvi il piacere della lettura. SI, perché di un piacere si tratta. V è carismatico senza mai scendere nel ridicolo, V è convincente; V per Vendetta è un fumetto scritto divinamente e disegnato altrettanto bene.  La prosa di Moore… beh, chi sono io, per dire qualcosa che non sia già stato detto e scritto su questo autore? Il tratto di Lloyd è pulito, preciso, essenziale, realistico e oscuro come la storia richiede.  Un volume a fumetti che piace, solitamente, anche a chi non legge abitualmente fumetti.

V per Vendetta è una storia di cui abbiamo potuto leggere la fine, probabilmente, grazie all’enorme successo ottenuto da Watchmen, per le strane coincidenze più o meno astrali che ci sono nel mondo dei fumetti.  Ma rispetto al suo “fratello” ha una trasposizione cinematografica più fedele all’originale.  In realtà, su entrambi e sull’influenza che hanno avuto, nella cultura contemporanea, potremmo scrivere degli interi trattati (e probabilmente qualcuno lo sta già facendo).  Tanto per fare un esempio: se a fine febbraio avete visto una V rossa nelle vostre schede elettorali, beh, sappiate che c’è lo zampino di Moore e Lloyd.  E se siete arrivati a leggere fino a qui, l’unico consiglio che resta da darvi è quello di procurarvi V per Vendetta e cominciare a mettere da parte un po’ di soldini per quando si parlerà di Watchmen…

From San Giuliano to Marvel Universe: intervista con Nicola Peruzzi

(Articolo pubblicato originariamente su Il Baffo, 14 maggio 2014)

Ho conosciuto Nicola Peruzzi – se non ricordo male – nel 1998, alla fermata dell’autobus di Piazza Guido Monaco. Mi venne presentato come persona che condivideva con me la passione per i fumetti. Era vero;  anzi: era molto più vero di quanto mi sarei potuto immaginare durante quel primo incontro. Da allora abbiamo parlato un bel po’ di volte di fumetti, dalla gestione di Straczinski su Amazing Spider-Man (di cui lo sponsor ero io) a quella del Daredevil di Bendis prima e Brubaker poi (consigliatemi da lui, non credo di averlo mai ringraziato abbastanza), dagli aneddoti legati a Lucca Comics – a volte con autori di fumetti, a volte senza – a Martin Mystère, dagli X-Men di Chris Claremont, alla “Lunga Notte dell’investigatore Merlo” (se non sapete cosa sia, cospargetevi il capo di cenere e poi correte a recuperarlo, visto che è stato recentemente ripubblicato), fino a Grant Morrison, la sua più grande passione in campo fumettistico, su cui ha scritto, insieme ad Antonio Solinas e Giovanni Agozzino, un (notevolissimo) libro-saggio, il primo al mondo che analizzi il lavoro dell’autore scozzese a 360°.  Ora, siccome Nicola, oltre che nostro concittadino è persona estremamente in gamba, di strada nel mondo del fumetto italiano ne ha fatta un tot. Attualmente, se vi capita di comprare un qualsiasi albo Marvel pubblicato in Italia dalla Panini, nel colophon di pagina 2 trovate scritto il suo nome, in qualità di responsabile del coordinamento di redazione.  Il che ha fornito lo spunto per la chiacchierata che state per leggere, dove si parla di Arezzo, di musica, di serie TV… e ovviamente di fumetti. 

  1. Ciao Nicola, e cominciamo con una domanda “autocelebrativa”: che ne pensi del Karemaski e del suo bellissimo blog?

Ciao a te, Roberto. Penso che sia un bel posto con un nome splendido, un logo eccezionale e con tanta gente in gamba a gestirlo.

  1. Sappiamo che la tua passione per il fumetto parte dalla tenera età:  quand’è che hai capito che avresti anche potuto farne una professione?

Diciamo che ci ho sempre creduto. Sono un lettore di fumetti da quando ho memoria, e la prima volta che ho preso seriamente in considerazione l’idea di lavorare nel fumetto è stato all’università, quando ho conosciuto persone che, come me, erano appassionate e attive nel settore amatoriale, tanto come autori quanto come critici. Pian piano, ho cominciato a scrivere di fumetti, un po’ perché mi piaceva, un po’ perché ne sentivo l’esigenza. Mi sono unito al gruppo dei sardi di Comics Code, con i quali poi ho fondato De:Code e De:Code 2.0.

Da lì a poco ho cominciato a frequentare fiere, conoscere sempre più gente del settore, e a intavolare collaborazioni a tutti i livelli: da standista ad articolista, da traduttore (ma mai accreditato, ahimè) a curatore della parte artistica di Narnia Fumetto e Fumetterni. Dopo un paio di anni di inattività (strano a dirsi, ma fu per scelta, ero satollo), è arrivata la grande occasione. Grazie infatti a un annuncio su Facebook, nel maggio 2011 ho inviato il mio curriculum in Panini e sono entrato praticamente subito nella redazione Germania in qualità di coordinatore editoriale. Poco più di un anno dopo, mi hanno trasferito in redazione Italia, in qualità di coordinatore della linea comics. E questo è per sommi capi il riassunto della strada che mi ha portato fino a qui.

Nicola Peruzzi (al centro) in versione Star Wars

Nicola Peruzzi (al centro) in versione Star Wars

  1. Il tuo ruolo in Panini Comics ti rende di fatto una personalità influente nel panorama del fumetto italiano, come è già successo in passato, in questo o in altri ambiti, ad altri nostri concittadini:  secondo te è d’uopo parlare di Arezzo come di una città “fumettosa”?

Ti ringrazio per l’influente, anche se penso di dover ancora meritare quell’aggettivo. Influenti sono invece, come dici tu, quei tanti autori di fumetti che vivono e lavorano nella nostra bella città e che la arricchiscono dal punto di vista culturale. L’idea che Fabio Civitelli, disegnatore di Tex, fosse proprio aretino mi ha sempre colpito fin da bambino. E non nascondo che forse, la cosa mi ha colpito al punto tale da avermi fatto perseverare a cercare lavoro in questo settore. Per me da piccolo Tex era IL fumetto, e il fatto che il suo disegnatore (al tempo non avevo idea che fossero molti disegnatori ad alternarsi) fosse mio compaesano era assolutamente incredibile.

Arezzo è senza dubbio un capoluogo per il fumetto in genere: oltre al Civitelli sono innumerevoli le personalità legate al settore che rendono la provincia toscana importante per la nona arte. Di recente ho collaborato, per esempio, con Marco Santucci e Simone Peruzzi per alcune variant cover che abbiamo realizzato, generandole da zero, per il ventennale di Panini Comics. Posso dire senza ombra di dubbio che collaborare con due autori Marvel aretini a un progetto Marvel Italia, è stata una delle esperienze più remunerative in termini di soddisfazione personale degli ultimi anni.

  1. Negli ultimi tempi, Panini Comics sta facendo un grande lavoro di “recupero” di serie pubblicate a spizzichi e bocconi, o pubblicate solo in parte, in Italia.  Penso per esempio a Grendel, o a Miracleman, di cui sei anche curatore e della quale abbiamo parlato qualche giorno fa su Graphic Nobel. Quanto ti sei speso in questo senso?

Davvero molto, devo ammetterlo. Sono io per primo un amante di questo particolare tipo di fumetto, non mainstream e rappresentativo di un periodo storico in cui gli autori indipendenti, seppur tra mille difficoltà, riuscivano a far fronte alle major e a pubblicare e spesso autopubblicarsi i propri lavori, portandoli avanti per anni e anni con successi oggi insperabili.

Sia Grendel che Miracleman, per limitarmi ai due che hai citato, sono opere alle quali sono legato a doppio filo nella mia storia personale. Poter lavorare a entrambe non solo come coordinatore, ma anche come co-curatore per Grendel (assieme al valido Antonio Solinas) e come supervisore per Miracleman, è stato per me come chiudere un cerchio.

Un’altra serie alla quale sono particolarmente legato è Concrete. Lavorare fianco a fianco con una leggenda vivente del calibro di Paul Chadwick per la realizzazione di copertine inedite per la serie, è una cosa che ancora non riesco a comprendere completamente, nella sua portata. E il prossimo maxi-progetto che inizierà a momenti è la completa di Madman di Mike Allred.

Che posso dire? Vivo il sogno.

  1. Tendenzialmente, l’esperto di fumetto viene classificato genericamente come “nerd”, un termine che sta assumendo una connotazione sempre meno negativa rispetto a quanto non avesse, ad esempio, solo qualche anno fa.  Quanto pensi sia importante, questa “attitudine nerd”, nel tuo lavoro?

È ovviamente importante, anche se io parlerei più di attitudine geek, piuttosto che nerd. Il secondo termine infatti ha un’accezione negativa che non rispecchia del tutto “il sacro fuoco” che guida il geek, che a differenza del nerd è pienamente consapevole del fatto di essere un unicum nel suo genere per interessi e non solo, e ne va fiero. Il geek, a differenza del nerd, mostra la sua attitudine indossando t-shirt a tema, per far sapere a tutti quali sono i suoi interessi.

Al di là della semantica, comunque, quell’attitudine è importantissima, ma è nulla se non è accompagnata da serietà, perizia e dedizione. Spesso infatti si pensa che basti conoscere a menadito l’universo Marvel e aver letto più fumetti possibile per poter lavorare nei fumetti. Purtroppo non è esattamente così. È un lavoro a tutti gli effetti; se è accompagnato dalla passione tanto meglio, ma si tende a preferire gente che abbia un’esperienza comprovata nell’editoria a grandi appassionati econnoisseurs ma con poca esperienza. Poi, ovvio, dipende tutto dal genere di lavoro che uno vuol fare. Se vuoi fare l’editor, la geekness deve scorrere potente in te. Se vuoi ricoprire altri incarichi, può essere meno importante.

  1. Panini Comics pubblica a tutt’oggi fumetti bellissimi, con le varie linee editoriali in cui è strutturata. Ma se tu dovessi consigliare UN solo titolo tra quelli pubblicati dalla casa editrice dove lavori, quale sarebbe, oggi come oggi?

Questa è una domanda impossibile, o quasi. Pubblichiamo libri troppo diversi tra loro, in linee editoriali assolutamente diverse per attitudine e pubblico di riferimento. Il meglio che possa fare è consigliarti un titolo per specifica linea editoriale.

Parlando di Marvel, questo è davvero un buon momento per leggerla. I migliori autori sul mercato scrivono e disegnano per la Marvel, per cui qualsiasi testata scegli è assolutamente valida. Il mio consiglio è di cominciare a seguire DEVIL E I CAVALIERI MARVEL con il rilancio ALL-NEW MARVEL NOW! (per i non fumettari, si tratta di un punto di inizio ideale per nuovi lettori, che possono cominciare a leggere Marvel senza preoccuparsi eccessivamente di trame e sottotrame del passato) che avverrà a settembre. Lì dentro ci finirà il meglio della Marvel dall’anima “indipendente”: DAREDEVIL di Mark Waid e Chis Samnee, THE PUNISHER di Nathan Edmondson e Mitch Gerads, ALL-NEW GHOST RIDER (apparentemente la serie più truzza e cafona dell’universo Marvel) di Felipe Smith e Tradd Moore, Thunderbolts di Charles Soule e Carlo Barberi. Una garanzia.

Per la linea Panini Comics, il mio consiglio va senza dubbio a THE MANHATTAN PROJECTS di Jonathan Hickman e Nick Pitarra. È una serie di fantascienza con protagonisti i più grandi fisici del secolo scorso. Einstein, Oppenheimer, Fermi, Fenyman e tanti altri personaggi storici che usano la bomba atomica come copertura per esperimenti ben più estremi.

Per la nostra linea 9L, che non gestisco direttamente ma che seguo da appassionato lettore, non posso che consigliare LOVE & ROCKETS. Un pezzo di storia del fumetto, uno spaccato dell’America tra gli 80 e i 90 raccontata da quei geni dei los bros Hernandez.

Non sono un grande appassionato di manga, ma da gattaro non mi perdo un numero di CHI, CASA DOLCE CASA. Chi ama i gatti, può capire perché solo leggendolo.

  1. Adesso dicci un titolo di quelli che NON sono pubblicati dalla Panini, e che secondo te tutti dovrebbero leggere.

Ah beh, è facile: THE INVISIBLES, di Grant Morrison e, tra gli altri, Steve Yeowell, Phil Jimenez e Jill Thompson. In Italia è stato pubblicato prima da Magic Press, poi ristampato da Planeta DeAgostini e portato a termine da RW Lion. Senza timore di smentita il miglior fumetto che sia mai stato scritto, e per me l’equivalente per la nona arte della trilogia di Guerre Stellari: tutto quello che so della vita, l’ho imparato da The Invisibles.

È un capolavoro senza tempo della controcultura che ha cambiato, senza che la massa se ne accorgesse, il cinema, la letteratura, la televisione. Tutti dovrebbero imparare a diventare invisibili.

  1. Molto spesso, gli appassionati di fumetto hanno anche velleità autoriali più o meno nascoste.  Le tue, quanto sono nascoste, se ci sono? O magari ci stai per svelare in anteprima che stanno per venir fuori?

No, assolutamente. Sono un editoriale puro, mi piace fare l’editor e credo sia quello che riesco a fare meglio. Non so disegnare e, sebbene sappia scrivere, non ho mai avuto velleità autoriali in tal senso.

  1. Tempo fa hai pubblicato, insieme ad Antonio Solinas e Giovanni Agozzino, un libro (intitolato Grant Morrison: All Star“, NdR) che la dice lunga su quale sia il tuo autore di fumetti preferito.  Ma sicuramente ce ne sono altri che valgono la pena di consigliare ai lettori di Graphic Nobel.  Chi c’è, nel tuo Pantheon, insieme allo scrittore scozzese?

Sebbene la sua produzione sia diminuita fortemente, il mio preferito resta sempre lui, l’inarrivabile Grant Morrison. Ma ne ho già parlato abbastanza poco sopra, per cui mi fermo qui.

Molti dei miei autori preferiti di sempre li ho già citati nelle domande precedenti. Non sto a citare “i grandi antichi” come Alan Moore, Matt Wagner e compagnia, altrimenti non ne usciamo vivi.

Mi limiterò a citare i miei preferiti del momento. Tra le “nuove leve” trovo grandioso Jonathan Hickman, che mi ricorda molto da vicino Morrison, sia nella sua veste di autore indie che in quella di autore Marvel. La sua capacità di pianificare storie a lungo termine è veramente fuori dal comune.

Mi piace molto Rick Remender, che mi ricorda per prosa i grandi autori Marvel del passato (Chris Claremont in primis) senza però eccedere nell’autocompiacimento.

Trovo altalenante Matt Fraction, che se da una parte riesce in capolavori come Occhio di Falco o Sex Criminals, si vede fin troppo bene quando non ha voglia di scrivere.

Trovo mostruosamente sottovalutato Greg Rucka, e adoro alla follia Ed Brubaker, anche se forse lo trovo troppo legato a un unico genere.

Charles Xav… ehm, Grant Morrison, in posa con il libro a lui dedicato.

Charles Xav… ehm, Grant Morrison, in posa con il libro a lui dedicato.

  1. Negli ultimi anni, il mondo del fumetto è diventato sempre più “crossmediale”, tra le decine di film realizzati e le serie TV ispirate a titoli della Nona Arte. Secondo te questa sovraesposizione ha fatto più bene o male ai comics?

Fa solo bene, senza ombra di dubbio.

Partecipo ormai a tutte le fiere del fumetto sia come editor che come standista addetto alla vendita, e una cosa che noto sempre con maggiore frequenza fiera dopo fiera è come si stia sempre più diversificando il pubblico di lettori dei fumetti di supereroi. La cosa che salta immediatamente all’occhio è la quantità enorme di ragazze che divorano fumetti finora considerati “da maschietti”. Conoscono l’universo Marvel e lo apprezzano in tutta la sua complessità. Leggono le cose più disparate, da Occhio Di Falco agli X-Men, dagli Avengers a Devil. Ora, sai bene quanto me che ai tempi nostri, i fumetti – specialmente quelli di supereroi – li leggevi di nascosto. Figuriamoci se le ragazze si sarebbero mai avvicinate al genere supereroi. Le uniche cose unisex erano i manga (ma anche lì, dipendeva molto da quali leggessi) e Dylan Dog (ma parlo degli anni in cui era un fenomeno che trascendeva qualsiasi genere). Ogni volta che alle fiere incontro una ragazza che acquista un albo Marvel, le chiedo come è arrivata ai fumetti. Nove volte su dieci la risposta è grazie ai film.

E adesso, con dieci serie TV tratte dai fumetti in produzione (di cui 6 Marvel e il resto di DC e indipendenti), si riuscirà ad arrivare a un pubblico ancora più vasto e differente.

È necessario per prima cosa rendersi conto di tutto questo pubblico potenziale e riuscire a parlare anche e soprattutto a loro, perché se pensiamo che i fumetti si vendano da soli o che contaminazioni del genere possano far male al fumetto perché non lo rispettano e sporcano qualcosa di puro, o viviamo nel secolo sbagliato o non abbiamo idea di quello che stiamo facendo.

Nel nostro piccolo, ci stiamo attrezzando sempre più per assecondare questo fenomeno e portare i nostri fumetti in mano a sempre più gente: in occasione di Captain America The Winter Soldier abbiamo infatti stampato un flipbook Cap/Guardiani della Galassia che è stato distribuito nel circuito UCI Cinemas e The Space. Cerchiamo, quando ci è possibile, di fare uscire edizioni delle storie che hanno ispirato i film in edicola e in libreria in modo che i lettori che ne vogliono ancora abbiano subito tutto a portata di mano.

A volte ci riusciamo, altre volte arriviamo lunghi. Ma ci stiamo tarando cammin facendo.

  1. A proposito: sappiamo che sei anche un grande appassionato di serie TV.  Quali sono quelle che ogni bravo lettore di questo sito dovrebbe assolutamente vedere?

Ah beh, ce ne sarebbero. La mia Top Ten:

1)      The Sopranos, perché è a serie in assoluto più bella di sempre.

2)      The Wire, perché segue la precedente di poco, per scrittura, interpretazione e regia.

3)      Doctor Who, perché è così che dovrebbero essere fatti i fumetti.

4)      The SHIELD, perché è bella violenta e al tempo stesso profonda, come non ne fanno più.

5)      Breaking Bad, perché sarà sempre unica nel suo genere.

6)      Sherlock, perché è impressionante il livello di recitazione e di dettaglio di scrittura.

7)      Sons of Anarchy, perché non avrei mai detto che dei bikers potessero essere così profondi.

8)      Life on Mars UK, perché la scena in cui il protagonista capisce di essere piombato nel 70 con David Bowie in sottofondo mi fa sempre venire i brividi.

9)      Lost, perché sebbene siano veramente belle due stagioni su sei, per me è stato un punto d’inizio davvero importante

10)  True Detective, perché è una serie Invisibile.

Ma ti chiederò di aggiornare questa lista molto spesso, mi sa.

  1. Ultima domanda, a chiusura del cerchio, visto che questa chiacchierata è ospitata dal sito del Karemaski.  Quanto sono importanti le influenze musicali per un appassionato di fumetti, e conseguentemente quali sono i dischi dei quali non potresti fare a meno neanche sotto tortura?

Per me la musica è stata molto importante nella formazione, e ovviamente, come tutti, ne ascolto, sebbene non possa certo definirmi un esperto. Ascolto principalmente il rock nelle sue varie declinazioni, con spiccate preferenze per il punk californiano stile Ramones, una delle mie band preferite di sempre. In questo momento nel mio iPhone c’è spazio per i Blur, gli Arctic Monkeys, i Bad Religion, i Metric, i Kasabian, gli Smiths, gli Strokes e via dicendo.

Insomma, sono onnivoro, purché la base sia rock.

Grazie per l’intervista e a presto!

La mia Lucca, ovvero un decalogo semiserio di come affrontare Lucca Comics e sopravvivervi

Anche quest’anno, come ormai quasi sempre mi capita, sono andato a Lucca Comics and Games. La particolarità di questa mia trasferta 2013 è che, a differenza delle ultime volte, è stata:

– di sabato
– in macchina
– da solo

Fattori, questi, che si erano già presentati altre volte in passato, ma mai tutti e tre contemporaneamente.
Ora, siccome immagino di non essere l’unico ad essersi trovato/a potersi trovare in questa situazione, a 34 anni suonati, stilo questo decalogo, tra il serio e il faceto, per il me stesso 35enne e per i miei coetanei.

1. Cercate di impedire a tutti i costi il verificarsi contemporaneo di tutte queste tre condizioni. Anche a costo di non andare: per motivi che saranno più chiari nei punti successivi del decalogo, questa combinazione di fattori può trasformare la vostra esperienza in un incubo, per quanto possa essere grande la vostra passione per i fumetti.

2. Fidatevi di quello che vi dicono i pannelli autostradali. Se vi dicono di uscire a Capannori, fatelo e basta. Se vi dicono di uscire a Firenze Nord, fatelo. A Lucca, non c’è modo di evitare una coda passando da un’altra parte: girato l’angolo, c’è solo un’altra coda.

3. Lo ribadisco: durante Lucca Comics farete un sacco di file. Per uscire al casello, per pagare il biglietto, per fare due parole coi vostri autori preferiti, per mangiare, per prendere un caffè, per andare al WC chimico. Se proprio non avete nessuno che vi accompagni a Lucca e con cui scambiare due chiacchiere durante le interminabili attese, portatevi un lettore mp3 ed accertatevi che sia carico.

4. Siate fisionomisti. Perché a Lucca, se volete evitare di aspettare ore e ore per parlare con un disegnatore, uno scrittore, un editor o un letterista, e magari spuntare una dedica in un albo, il modo migliore è sperare nel colpo di fortuna. Se vedete un tizio con un pass al collo aggirarsi per un vicolo, o magari aspettare per un caffè, è possibile che appartenga ad una delle categorie sopra citate. E quindi, onde evitare di fare come me, che 10 minuti dopo aver incrociato una faccia nota mi dico “ma quello era Tito Faraci!” e “mi sa che quello era Angelo Stano…”, è necessario imprimersi nella memoria le facce dei propri autori di riferimento.

5. Siate alternativi, o almeno fingete di esserlo. Perché Lucca Comics and Games è il paradiso del nerd, e quindi, se vi aggirate per i padiglioni con in mano un albo dell’Uomo Ragno (per dire) è possibile che veniate squadrati da capo a piedi con l’aria di chi pensa di voi “ma guarda te, questo qua viene a Lucca Comics per comprarsi degli albi dell’Uomo Ragno, invece di comprare gli ultimi volumi della Totally Unknown Publishing (sempre per dire).” Oppure fate come il sottoscritto: fregatevene di come vi guardano gli altri.

6. Siate tolleranti coi Cosplayer. Loro sono più di voi, e spesso hanno dei corpi contundenti (variamente efficaci) in mano. C’è una legge non scritta del mondo-cosplayer che dice che non ci si può fermare a farsi fotografare in una piazza, ma bisogna farlo in un vicolo, più è stretto e meglio è. E più persone si bloccano, più la foto sarà bella. Finché non passa la moda dei Cosplayer, questa è la realtà con cui bisogna fare i conti.

7. Parcheggiate fuori dalle mura e prendete un sacco di punti di riferimento. Lucca non è la città più semplice d’Italia da girare, né dentro le mura né fuori. Oppure svenatevi in parcheggi a pagamento. Non tentate di parcheggiare in posti “furbetti”: avete il 101% di possibilità di prendere la multa. Se siete da soli, non disdegnate l’ipotesi di andare alla fiera in treno: avrete meno rotture e un euro di sconto sul biglietto.

8. Non è Lucca che è cambiata, siete voi che non avete più vent’anni. O meglio, probabilmente sono vere entrambe le cose, solo che una fiera grande e piena di gente come quella lucchese richiede una notevole preparazione fisica. A Lucca avrete sempre caldo, quindi non vestitevi troppo (nei padiglioni si muore anche se fuori nevica, fidatevi), dovrete camminare un sacco, mangerete e berrete ad orari impensabili. Solo che quello che prima non vi pesava, ora invece un po’ si.

9. Lucca è fatta (anche) per meravigliarsi, quindi cercate di vedere le cose con gli occhi del voi stesso di quando avevate la metà degli anni di adesso. Se trovate un Mjöllnir gigante in mezzo a una piazza, e questa cosa dentro di voi non smuove niente, forse Lucca Comics and Games non è il posto più adatto a voi.

10. Se tornando a casa avete detto a voi stessi che non ci tornerete mai e poi mai, sappiate che probabilmente non è vero. Ma per migliorare la vostra esperienza lucchese, attenetevi a quanto sopra elencato: cercatevi almeno un/una compagno/a di viaggio, siate preparati ad ogni tipo di meteo, venite a patti col fatto che ogni anno Lucca è un po’ meno “comics” e un po’ più “games”, mettete da parte un euro in più per il biglietto rispetto all’anno precedente. Se una sola di queste cose vi spaventa, state fermi un giro.