Ritornare sul FQ

Dopo i pezzi già scritti negli anni scorsi, ho cercato di raccontare perché e percome ho il fermo proposito di guardare meno partite possibile del Mondiale di calcio in Qatar (ma sicuramente per la finale farò un’eccezione), e di come, per un viaggio di lavoro, il boicottaggio totale sia stato praticamente impossibile. Grazie a Crampi Sportivi il mio post sui Blog del Fatto.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/12/03/quanto-e-difficile-trovarsi-a-dubai-ed-evitare-i-mondiali-io-non-ci-sono-riuscito/6890996/

Tornare a casa

Ci sta che lo sappiate: per molti versi, posso dire che il mio cammino giornalistico è partito da Amaranto Magazine. Per questo, è un piacere ritornare dopo un po’ a scrivere per loro.

L’ho fatto qui, e come sempre è stato un piacere. https://www.amarantomagazine.it/2022/10/25/punti-teatrino-analisi-sconfitta/

The Sport Light

The Sport Light è un sito web che si propone di fare informazione sportiva seguendo i dettami del cosiddetto Slow Journalism. Per farlo, hanno studiato un piano di abbonamenti decisamente alla portata di tutti (a partire da 2,50 euro al mese). Qualche tempo fa mi hanno invitato a collaborare, e nei giorni scorsi è uscito il mio primo pezzo, di una rubrica che abbiamo deciso di chiamare Screen, per il doppio senso dall’inglese (la parola “screen” identifica sia lo schermo che il blocco nel basket). Lo trovate a questo link, spero che vi convinca ad abbonarvi e a leggermi.

1° Memorial Massimiliano Pancini a Poppi

Avevo avuto occasione di conoscere Massimiliano Pancini in occasione della preparazione di questo pezzo, che celebrava il mezzo secolo di storia di una squadra che a me sarà sempre cara. Purtroppo il destino è stato particolarmente duro con lui: Massimiliano ha lasciato questo mondo molto prima di quanto sarebbe stato giusto. A Poppi hanno scelto di celebrarlo con una giornata di pallacanestro 3 vs 3, nel campetto vicino al palazzetto dello sport recentemente realizzato. Io l’ho raccontato qui.

A Capolona restaurata la torre longobarda di Belfiore

(Articolo pubblicato su Casentino Più, numero di Primavera 2022)

A pochi chilometri dal centro abitato di Capolona, salendo per la strada che porta alle frazioni di Cenina, Ponina e il Santo, a circa 500 metri di altitudine si trova un luogo che ancora oggi offre un panorama mozzafiato ai camminatori che ci si avventurano. Questo posto era noto come il Castello di Belfiore, anche se i capolonesi sono soliti chiamarlo le Torri di Belfiore. Il toponimo con cui è indicato il luogo di Belfiore si ritrova anche in alcuni statuti fiorentini del 1500, e anche nell’atto del 1808, quando venne istituito il “distretto di Capolona, Bibbiano e Belfiore”. Sebbene non ci siano riscontri documentali a sostegno della teoria, si ritiene comunemente che l’insediamento definito come “Castello di Belfiore” fosse di origine longobarda, sia per la vicinanza (circa cinquecento metri) con l’insediamento di Ponina, di cui invece è documentato il suo essere “corte longobarda”, sia per la scelta del punto in cui questa fortificazione era stata eretta, ovvero a cavallo tra due vallate, in modo da poter tenere sotto controllo sia il Casentino sia la piana di Arezzo. I longobardi, infatti, avevano studiato un sistema di torri per meglio controllare porzioni più ampie di territorio, e la possibilità di vedere bene Pontenano, altro insediamento longobardo nel territorio del comune di Talla, da Belfiore, lascerebbe propendere per questa ipotesi. Ci sono tuttavia degli elementi che lasciano pensare ad una riedificazione successiva, presumibilmente in epoca feudataria. Quello che infatti viene definito come “castello” era invece più probabilmente un fortino, un posto di vedetta attrezzato per poter essere difeso in caso di attacco nemico, come testimoniano le feritoie ancora visibili nella parte di cinta muraria che si intravede ancora oggi ai piedi della torre, strette finestrelle da cui era possibile scoccare delle frecce. Questo insediamento venne quasi certamente mantenuto attivo fino ai tempi della battaglia di Campaldino, e anche successivamente, fino cioè alla cessione della città di Arezzo a Firenze, quando venne poi di fatto – e su espresso ordine dei fiorentini – abbandonata e lasciata andare in disuso. Il fatto che gli abitanti del luogo definiscano il posto col nome “le torri di Belfiore” ci fa capire come – nonostante ad oggi di torri ce ne sia solo una – ci sono segni certi e ben visibili di una seconda torre, se non addirittura di una terza. Una sola, comunque, è quella che è riuscita a rimanere in piedi per tutti questi secoli, nonostante l’abbandono, nonostante sia stata sferzata dalle intemperie e la vegetazione circostante l’abbia pian piano sempre più insidiata da vicino, al punto di non renderla ben visibile se non si sa esattamente dove si trova. Il fascino del luogo, con la sua visuale mozzafiato, è però rimasto intatto e ben noto agli abitanti del posto. Così, negli ultimi anni aveva cominciato a prendere piede l’idea di fare qualcosa prima di dover assistere inermi, come è stato da numerose altre parti, al crollo dell’unica torre rimasta dovuto alla normale azione del tempo. Dapprima con un consolidamento della struttura, volto sia ad impedirne il crollo che a limitare la pericolosità per chi si avventurava in mezzo al bosco per vederla, e dopo alcuni anni, grazie all’impegno delle ultime due amministrazioni comunali, a riprova del fatto che quando un’idea è buona non ci si deve rinunciare a causa di un diverso orientamento politico, si è potuto finalmente provvedere a coronare un piccolo sogno che gli abitanti di Capolona covavano, e cioè il restauro dell’antica torre. Il Comune di Capolona, con un post sul profilo Facebook datato 25 maggio 2021, dava infatti l’annuncio tanto a lungo atteso dai cittadini:

Altro bando vinto e nuovo finanziamento arrivato. Iniziati i lavori di ripristino della Torre di Belfiore e creazione area di sosta/picnic. La torre, dovrà essere un punto di riferimento per la nostra comunità, pregio da mostrare e di cui essere orgogliosi, oltre che “attrazione” turistica, raggiungibile tramite auto, trekking o mtb.

Noi di Casentino Più vi avevamo già segnalato questo sito storico, prima ancora dell’inizio delle opere di messa in sicurezza, nella nostra – ahivoi – esauritissima guida “Casentino da scoprire” pubblicata nell’estate del 2016. Stando alle indicazioni che ci fornisce Google Maps, arrivando a Capolona in treno è possibile raggiungere la torre in poco meno di un’ora di cammino a piedi, ma ci metterete probabilmente di più se considerate che, una volta oltrepassato il ponte sulla SR 71, vi immergerete in un nastro di strada asfaltata ma in mezzo alla natura e con scorci notevoli, tra querce e vigneti, e per arrivarci passerete accanto a ben tre luoghi degni di interesse storico oltreché paesaggistico. Il primo è la Pieve di Cenina, intitolata a Santa Lucia. Attualmente parte di una struttura più ampia, di proprietà della Parrocchia di Capolona, la Pieve di Cenina deve il suo aspetto attuale ad una ristrutturazione operata intorno al 1840, anche se il quadro raffigurante Santa Lucia all’interno della chiesa stessa risale a circa 150 anni prima, e notizie di Cenina si trovano fin dal 1109. Il toponimo “Cenina”, addirittura, parrebbe avere origini etrusche, e nell’alto medioevo fu una curtis longobarda. La passeggiata poi prosegue fino al centro abitato successivo, Il Santo, un insediamento di epoca altomedievale con un’altra piccola chiesa, dedicata a Sant’Apollinare, edificata probabilmente durante la reggenza del Vescovo Adalberto, proveniente da Ravenna. Secondo tali ricostruzioni storiche, quindi, questa chiesa dovrebbe avere circa mille anni, poiché il periodo trascorso da Adalberto in terra aretina andava dal 1014 al 1023, anche se tracce di insediamenti ancora precedenti in queste zone risalgono addirittura al 600 d.C. Lasciandosi alle spalle Il Santo, poi, poco dopo sulla destra si trova l’abitato di Ponina. Anche questo toponimo pare di origine etrusca, così come quello di Cenina, ed anche qui ebbe sede una corte longobarda; attorno all’anno Mille Ponina divenne possedimento dei Camaldolesi, che vi edificarono un piccolo monastero, la cui esistenza viene citata in una bolla di Papa Alessandro II datata 29 Ottobre 1072 e in un’altra, successiva, del marzo 1105, di Papa Pasquale. Del monastero camaldolese, tuttavia, ad oggi non resta traccia, anche se le ricostruzioni degli storici tendono a localizzarlo in un’area a valle di Ponina, nota come Campi Chierli. L’occasione di scoprire la Torre di Belfiore, rimessa a nuovo come vi mostriamo in queste pagine, è insomma anche l’opportunità giusta per scoprire un percorso forse poco noto, ma che ne siamo certi, non mancherà di emozionarvi. E poi, la vista dai piedi della torre ripaga di tutto, anche della scarpinata che vi sarete fatti se deciderete di seguire il nostro consiglio. Adesso che il “grosso”, cioè la ristrutturazione della torre, a lungo ritenuta impossibile, è fatto, sta a chi amministrerà Capolona da ora in poi: veicolare e valorizzare al meglio questa piccola gemma nascosta nel territorio – non l’unica, peraltro, come già in passato vi abbiamo raccontato sempre sulle nostre pagine – sarà un dovere. Perché come ci ricordava un noto giornalista del secolo scorso, “un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente.”

Casa Del Vento – Alle Corde (2022)

La copertina della mia copia, come recapitatami brevi manu da Luca Lanzi davanti alla Feltrinelli di Arezzo

Non credo di averglielo mai detto di persona, perché boh, immagino semplicemente non ci sia mai stata l’occasione e il contesto giusto per farlo, quindi approfitto di questo post per rimediare. Ho la fortuna di conoscere di persona due dei membri della band, e di entrambi ho una grande, grandissima stima personale, che deriva da certe situazioni che ho avuto – in momenti diversi – il piacere di condividere con loro. Storie di battaglie per la tutela dei paesaggi dei miei luoghi natii, storie di difesa della Costituzione, oltre ad esser loro eternamente grato per il disco “Sessant’anni di resistenza“, un album che avrò il piacere e l’onore di condividere coi miei figli, raccontando loro che questo è stato, nei nostri territori, in un tempo tutt’altro che remoto. Questa mia predisposizione favorevole nei loro confronti, che poi è anche il motivo per cui sono stato tra i primi (credo) a sostenere la “produzione dal basso” del loro nuovo album, mi rende poco adatto a doverne parlare in termini di recensione, in quanto in tutto questo preambolo ho già fatto capire come e perché l’oggettività del giudizio sia andata a farsi benedire. E però, a salvarmi c’è un però, i miei ascolti musicali non sono solitamente proprio vicinissimi alle sensibilità della Casa, quindi se preso in mezzo tra questi due estremi ho scelto di non scegliere il silenzio e di parlarvi di questo disco è perché secondo me lo merita. E insomma vabbè, i panni del recensore oggettivo li ho già smessi, quindi vi dico solo che questi dieci pezzi – anzi, dieci round, come sottolinea la grafica dell’album – mi hanno emozionato a più riprese. Nelle lettere ai propri genitori (“Il pane e le spine”, “Raccontami ancora”), in quella al figlio (“La tua vita”), nei pezzi che strizzano l’occhio ai Mumford & Sons (“Danza del mare”) , nelle ballad rock (“Mare di mezzo”, Kenmare”), nei pezzi con più verve (“Alle corde”, “Born in the ghetto” e “Sulla tua pelle”) e in quello più nel solco del folk rock che da anni ormai risuona nella Casa del Vento (“Girotondo a Sant’Anna”).

La pagina del booklet in cui mi ha messo la firma – in penna
rossa da me fornita – non è casuale.

La verità è che sono rimasto ammirato, all’ascolto, dalla capacità di songwriting (lo so, sembro uno che ne capisce, ma la realtà è semplicemente che sono uno che ascolta parecchia musica, e ho l’ardire di saper discernere, almeno a sensazione, se una canzone è stata scritta in modo “curato” o “di getto”, se è artefatta o reale, se è scritta col cuore o con gli algoritmi). La Casa del Vento scrive e interpreta sé stessa e le sensibilità che la abitano, in maniera eccelsa. Ed ecco che anche io, figlio del rock psichedelico, risvegliato dal grunge, ipnotizzato dai Radiohead e dai Massive Attack e nuovamente ridestato dal post rock dei Mogwai e dei Giardini di Mirò, ascolto e riascolto questo album, che ho in infinitesimale parte contribuito a far nascere per la stima di cui sopra etc etc, perché le canzoni che lo compongono non sono realmente quelle che immaginavo di trovarci, ma al tempo stesso sono assolutamente pezzi “da Casa del Vento”, un gruppo di musicisti veri e persone sensibili, che ha trasmesso quel che aveva da dire in questi dieci pezzi (dieci round, pardon!) in maniera schietta, semplice, diretta, con un folk rock appena appena contaminato che a me – degli ascolti di cui poco sopra – lo rende decisamente più orecchiabile. E allora viva la Casa del Vento, che a distanza di oltre vent’anni riesce ancora a scrivere canzoni autentiche. Di questi tempi, merce rara.

A.S.D. FALTERONA RUN: IL BELLO STA NEL DISLIVELLO!

(Pubblicato originariamente sul numero 99 di Casentino Più, autunno 2021)

È una bella giornata di fine estate, l’ideale per fare un po’ di sport all’aria aperta: le giornate sono lunghe e non fa più quel caldo terrificante che a tratti rendeva faticoso fare qualsiasi cosa. Per i boschi, poi, deve essere ancora più fresco. E invece Simone Maccari e Leonardo Picchi accettano di incontrarmi per una chiacchierata, in un bar coi tavolini all’aperto, probabilmente rinunciando all’allenamento quotidiano, e non me lo fanno pesare, anzi: mi offrono pure uno spritz! Quando si dice che un’intervista parte subito col piede giusto… Loro sono tra i soci più attivi della A.S.D. G. S. Avis Pratovecchio Falterona Run, un gruppo nato in anni molto recenti, con un intento ben preciso, ma che poi è diventato molto di più.

Cominciamo proprio da qui: come e perché nasce la Pratovecchio Falterona Run…

Il gruppo è nato tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 per uno scopo ben preciso: salvare il Trail del Falterona da una probabile quanto inauspicabile fine. La società sportiva che lo aveva organizzato negli anni precedenti, infatti, aveva deciso che per loro poteva bastare così, che non avrebbero proseguito con l’evento negli anni a venire. Noi a questa gara e a questo territorio però ci siamo legati in modo profondo, e non potevamo accettare che un evento sportivo così bello scomparisse dal calendario. Così ci siamo guardati in faccia, ci siamo contati e abbiamo detto: ci proviamo a organizzarlo con le nostre forze, e con l’appoggio delle realtà del territorio? Ci siamo detti di sì, e da lì siamo partiti.

Da lì siete partiti, e però non vi siete limitati “solo” all’organizzazione di questa gara.

Come in tutti i piccoli paesi, le cose funzionano se tutti riescono a remare nella stessa direzione per farle funzionare.  Per l’organizzazione del Trail del Falterona, che comunque è una gara che richiama centinaia di persone e ha costi – per noi – abbastanza elevati, riceviamo l’aiuto di tutti. Dell’Avis, in primo luogo, che ci ha accolti nel proprio gruppo sportivo permettendoci di fatto di nascere come associazione sportiva, ma anche del Comune di Pratovecchio Stia, dell’Ente Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, di attività commerciali che ci sostengono materialmente o che ci sponsorizzano, ma anche di privati cittadini che ci danno una mano in tutti i modi. Noi sentiamo il dovere di ricambiare quanto ci viene dato: ad esempio, a inizio settembre siamo stati a dare una mano alla preparazione e alla realizzazione della “Straccabike”. Ma è solo un esempio, ce ne potrebbero essere altri.

Appena nati, vi siete subito trovati a fare i conti con la pandemia di Covid-19: non deve essere stato semplicissimo…

È stata dura per tutti e lo è ancora oggi. Le gare amatoriali hanno una marea di limitazioni che purtroppo fanno sì che molti iscritti rinuncino anche all’ultimo momento. Mentre una volta la variabile che poteva incidere sul tasso di presenze ad una gara poteva essere essenzialmente il meteo, oggi purtroppo entrano in gioco anche altri fattori. Sempre per rimanere alla Straccabike, ad esempio, il numero dei partecipanti è stato sicuramente buono, ma gli iscritti erano tanti di più di quelli che si sono effettivamente presentati. Per uno sport come il trail, poi, questa cosa probabilmente si sente più che per altre tipologie di attività.

Spieghiamo meglio questo punto: perché?

Innanzitutto va detta una cosa: nel trail come quello del Falterona o tanti altri analoghi, ci sono un tot di atleti, non tantissimi, che si iscrivono e gareggiano per vincere. Poi ce ne sono moltissimi altri, la stragrande maggioranza, che si iscrivono perché la gara la fanno con sé stessi e perché vogliono vivere l’esperienza nella sua totalità. Una gara di Trail è bella se ti puoi fermare a vedere gli scorci, se la ristorazione durante il percorso è buona, se all’arrivo puoi fare una bella doccia calda e mangiare insieme a tutti gli altri con cui hai condiviso questa esperienza. Ecco, il limite maggiore dallo scoppio della pandemia a oggi, è stato – dopo il fattore di rischio, ovviamente – proprio questo: come fai a organizzare un trail dove alla fine non puoi consentire agli atleti (o presunti tali: si tratta di eventi aperti a tutti) di farsi una doccia e di poter partecipare a un “pasta party” a fine gara? Molti, alla fine, si scoraggiano e decidono di non gareggiare. È un dato di fatto, e possiamo solo sperare di lasciarcelo alle spalle il più presto possibile.

Ad oggi, quante persone fanno parte dell’associazione sportiva?

Tra tesserati e “simpatizzanti”, siamo oltre 50 persone, e questo fa di noi una società numericamente importante. Tramite noi si può ottenere la tessera Fidal, abbiamo una convenzione con un centro medico a Poppi per le visite medico-sportive, per massaggi e fisioterapie. Cerchiamo di tenere il costo delle tessere il più basso possibile, come sanno i nostri iscritti, e una regola che ci siamo imposti fin dal primo giorno è che non esistono differenze tra i soci, siano essi fondatori, parte del direttivo, con incarichi o senza.

E cosa bolle in pentola, per il 2022?

Ovviamente l’orizzonte primario è quello di ricominciare con il Trail del Falterona, ne abbiamo una voglia matta e non vediamo l’ora! Non possiamo ancora confermare la data ufficiale perché ne dovremo individuare una che non sia in concomitanza con altre cose, ma ce la faremo. L’idea sarebbe quella di proporre tre percorsi, rispettivamente di 10, 30 e 50 km circa. Poi vorremmo organizzare alcune altre cose: una nuova edizione della “Tra pievi e castelli”, con partenza e arrivo dalla Pieve di Romena, e magari rifare qualche iniziativa con le scuole, come abbiamo già fatto al Canto alla Rana, con una corsa non competitiva per i ragazzi della quarta e quinta elementare, dove all’arrivo abbiamo distribuito a tutti una medaglia e una colazione con pane e Nutella! Dobbiamo farci trovare preparati al ricambio generazionale: quando abbiamo cominciato noi, le gare di trail le vincevano i quarantenni, oggi a vincere sono ragazzi che hanno vent’anni. Scherzi a parte, a dire il vero, ci piacerebbe tanto anche fare una cosa veramente da pazzi: una 100 miglia, come ne fanno già da altre parti…

Un momento: 100 miglia, cioè 160 chilometri?

Esatto! Ma nel trail running, che è una disciplina profondamente diversa dalle gare podistiche su strada, ad esempio, più la gara è lunga e più diventa un “viaggio” vero e proprio. Serve una grande preparazione mentale, analogamente a quella fisica, per intraprendere un trail del genere. Serve la voglia di superare dislivello, macinare chilometri, resistere senza pensare a nulla che non sia l’immersione nella natura. Sintetizzando, si può dire che la gara podistica sia più adatta a chi si sente un tipo “competitivo”, mentre il trail è per chi si sente un amante della natura. Pensa che il regolamento delle gare di trail prevede che, se non si aiuta un avversario . anche se forse sarebbe più giusto chiamarlo “compagno di viaggio” – in difficoltà, si possa perfino essere squalificati.

Dove vi può incontrare, una persona che voglia avvicinarsi al trail e in generale alle vostre iniziative?

Noi ci troviamo praticamente ogni domenica mattina al Bar Arcobaleno in piazza a Pratovecchio, e da lì partiamo per una camminata che può essere più o meno lunga a seconda delle circostanze. Abbiamo la fortuna di avere intorno a noi un territorio meraviglioso, e una bella passeggiata, o magari una Trail run, è un modo per conoscerlo ancora meglio!

Non tutto il male. Cronache della terra inabitabile.

Io vorrei che tutti leggessero “Non tutto il male” di Andrea Cassini, edito da Effequ, perché sento il bisogno di confrontarmi con altri su questo libro. Vorrei che lo leggessero tutti perché io un libro come questo mi sa che non l’ho mai letto, ma non so se sia il libro o se sono io, come lettore, ad avere orizzonti limitati. Vorrei che lo leggesse qualcuno che non conosce l’autore, che non ci ha mai parlato, che non ci ha mai avuto a che fare, che non ha mai letto nulla di suo (come avete fatto?). Vorrei che chi lo ha letto mi scrivesse e mi dicesse che ne pensa di Zero, del Cartografo, della ragazza in bianco e della ragazza in nero, se anche secondo lui i fantasmi sono simili agli stand di JoJo, se ha capito chi era il cantante che si esibisce nelle gallerie della metropolitana, se è riuscito a farsi un’idea di che fine farà la città costruita sull’albero. Vorrei che chi lo ha letto mi dicesse che sì, è vero quello che sto per dirvi, e cioè che è un libro che nel bene o nel male non lascia indifferenti, che scava dentro, che parla di un mondo fantastico eppure così simile al nostro presente da lasciarci così, a pensare se è così che sta andando, che andrà, se davvero non riusciremo ad evitare che

Sopra un enorme albero è edificata una città. Ora l’albero è malato, per guarirlo è stato dato alle fiamme dal governo, che alimenta superstizioni e incoraggia sacrifici umani. La città vive al centro di un perenne incendio, e per le strade sono comparsi dei fantasmi: ciascuno si lega a un essere umano, assumendo la forma dei suoi traumi e sentimenti repressi. Più l’albero brucia per guarire, più la disperazione si propaga in città. Solo Zero non ha un fantasma ad accompagnarlo. Lui, che gestisce un redditizio forum online per i sempre più numerosi aspiranti suicidi, attraverso il suo lavoro scoprirà qualcosa che lega i fantasmi alla città e alle fiamme, e ricostruendo gli enigmi che compaiono nei suoi sogni si andrà immergendo, per volontà o per forza, in una missione che cela il significato di tutta la propria esistenza.
In una straordinaria metafora del rapporto malato tra uomo e natura, 
Non tutto il male ondeggia tra incubo e sogno, realtà e menzogna, per condurci al centro dell’epoca che stiamo attraverso una storia fantastica.