Butterfly effect

(Scritto ascoltando Massive Attack – Ritual Spirit EP. Tempo stimato di lettura 1’45”)

Io c’è stato un tempo in cui pensavo che ancora ci potesse essere una logica nel calcio. Si fa una squadra, se fa un buon campionato se ne conferma una parte e si integra con elementi adatti alla categoria e al tipo di gioco che si vuol proporre; se fa un brutto campionato si cerca di salvare quel che c’è di buono e ci si mette mano in modo più sostanziale, se è il caso si cambia la guida tecnica. C’è stato un tempo in cui pensavo che non si può promettere la luna se in realtà non si ha un razzo per arrivarci, anche perché ho sempre cercato di non essere quello che guarda il dito mentre il saggio indica la luna.
Poi ho scoperto che c’è un microcosmo in cui sembra che niente di tutto quello che è stato scritto sopra sia vero o valido, e che questo microcosmo si trova in Italia, e più precisamente ad Arezzo. Da più di quindici anni, ormai, assistiamo a rivoluzioni in serie, valzer di allenatori che a vederne confermato uno per due stagioni è considerata un’anomalia, giocatori buoni che andavano trattenuti e venivano lasciati andare, e altri balordi che invece venivano tenuti, chissà perché. E questo stato di cose, questo panta rei permanente era indipendente dalla categoria, dalla presidenza, dalle aspettative della piazza, dagli obiettivi dichiarati, dai budget.
E allora faccio fatica, io, oggi, a metà aprile 2016, a credere che nel calcio ci sia una logica, soprattutto ad Arezzo – ma magari, mi piace pensare, non solo ad Arezzo. Perché tutto quello che succede mi sembra frutto del caos, della teoria del butterfly effect: niente che segua schemi sensati, nessuna volontà di imparare dagli errori fatti in precedenza. Concetti come pianificazione a lungo termine, comunicazione, chiarezza di intenti, tutta roba astratta. Una squadra in balia delle onde e del vento, senza timoniere né timone, senza vele né scafo: quello che mi meraviglia ancora, anzi, sempre di più, è come sia possibile che ad Arezzo ci sia ancora il calcio, come – soprattutto – possano esserci quei mille malati per i colori amaranto, quelli che si emozionano a sentire “quando c’è allo stadio la partita, l’aretino scorda il saracino…”, quelli che hanno i lucciconi quando vedono la rovesciata di Menchino Neri, o Corrado Pilleddu che a Pistoia litiga con l’usciere per far entrare Lauro Minghelli insieme alla squadra.

male
E infine penso che tutto sommato, questi mille meriterebbero un po’ più di rispetto, da chi incidentalmente si trova alla guida della società e da chi scende in campo, perché si può fare tutto nella vita, ma non bisognerebbe mai dimenticare che quei mille hanno pagato il biglietto, per venire a sostenere i loro colori. Mentre scrivo queste righe è il 17 aprile, e questo vorrà pur dire qualcosa. “Ma che s’avrà fatto noi de male?” così c’era scritto in uno striscione esposto non tantissimo tempo fa. Forse non dovremmo chiederlo a noi stessi, forse è tutto frutto del caos, forse è solo un bizzarro esperimento che un giorno avrà fine. Speriamo che almeno il finale sia buono, perché per ora della trama ci si capisce poco o niente.

Guardate troppe serie TV

Nel piccolissimo spaccato del mondo calcistico aretino, succedono anche cose di questo genere.  Succede – se non avete voglia di andare ad aprirvi il link – che un calciatore, figlio del vicepresidente di una squadra di calcio di serie C, minacci un giornalista, cercando perfino il contatto fisico, perché a suo modo di vedere, troppo duro nel giudizio tecnico nei suoi confronti.

La Colt come strumento di risoluzione delle controversie. Far West, ca. 1850

La Colt come strumento di risoluzione delle controversie. Far West, ca. 1850

Si noti che stiamo parlando di uno che non è esattamente John Terry, eh, visto che faceva la panchina in Serie D chiunque fosse l’allenatore, ha fatto qualche presenza in Coppa Italia, e conseguentemente fa la panchina ora, in serie C. Uno di cui il suo allenatore ha detto, più o meno, “in rosa abbiamo tre difensori centrali, poi c’è Coso” (non faccio nomi, ma il mister fece nome e cognome), un po’ come dire che questo tanto è inamovibile e quindi bisogna regolarsi di conseguenza. Uno che è riuscito a rimediare un cartellino rosso – con conseguente squalifica – mentre stava facendo riscaldamento.  Uno che nell’undici titolare non ci finisce neanche quando si è a corto di uomini nel ruolo, piuttosto si cambia modulo. Per dire.
Queste cose succedono, e magari tutto sommato per qualcuno possono anche sembrare normali, o accettabili, e ci si divide tra chi è solidale con il giornalista minacciato (me compreso, sia chiaro) e chi magari non dice niente perché oh, tutto sommato, sempre a parlar male di ‘sto qua, ci sta che gli siano saltati i nervi, in fondo è un ragazzo (che a giugno compirà 25 anni, sia detto per completezza) e allora stiamo zitti, non prendiamo posizione. Dimenticando che stiamo parlando di uno sportivo professionista, almeno formalmente, quindi uno che è pagato per giocare a calcio e farsi giudicare da chi di calcio scrive.
Meno di due anni fa, quella stessa dirigenza che guidava e guida l’Arezzo, parlava di “accanimento contro l’Arezzo Calcio” da parte di alcuni giornalisti locali, tra cui – in modo magari meno marcato di altri – anche il sottoscritto. E tuttavia, la domanda che affiora, oggi come allora, è sempre la stessa: ma sapete almeno di cosa state parlando?
Io in realtà penso un’altra cosa, che badate bene, trascende dal torto e dalla ragione del caso singolo. Penso che la gente al giorno d’oggi guardi un po’ troppe serie TV dove si è avvezzi a farsi giustizia da soli, dove gli animi suggestionabili sono – appunto – suggestionati dall’idea che farsi giustizia da soli è figo, è l’unica cosa da fare, perché nessuno ti difenderà mai se non ci pensi da solo, perché la scala dei valori ognuno se la costruisce da solo. Per cui, se sei un politico disonesto e io ti dò del ladro, tu mi quereli, anche se ho le prove per dimostrare quel che scrivo. Se sei un musicista che sforna un disco mediocre, o uno scrittore che pubblica un libro brutto, sono io che lo recensisco che non ho capito, sono troppo limitato, e bla bla bla. Se sei un calciatore scarso e io scrivo che – cito testualmente –

E’ ovviamente rimasto in rosa De Martino, che continua a occupare un posto over in maniera incomprensibile dal punto di vista tecnico. Nonostante le liste bloccate, nonostante i 5 minuti che gli ha concesso l’allenatore in cinque mesi, nonostante la prospettiva di non giocare mai, nessuno in società si è sognato di chiudere questa incresciosa parentesi che ormai è aperta da quattro stagioni. Il padre vicepresidente, incurante di una situazione che metterebbe in imbarazzo perfino il più sfacciato dei dirigenti, è sempre saldo al suo posto, siede alla destra di Ferretti in tribuna e non rende conto a nessuno. Cambiano gli allenatori, cambiano gli uomini mercato e i direttori generali, ma che ci sia Bonafede, Diomede, Pagni, Ciardullo o Gemmi, chi tocca De Martino muore. E il difensore over ci dicono che tanto non serve. Più che un deficit tecnico, che pure c’è, si tratta di un clamoroso sfregio all’immagine della società. Ma nessuno, pare, se ne rende conto.

Ecco, allora è anche solo lontanamente concepibile che tu mi minacci di aspettarmi sotto casa, cerchi di aggredirmi e cose del genere. Io penso che stiate diventando tutti matti, poi fate voi. Andrà a finire che ve la racconterete da voi, vedremo quanto siete bravi e quanto riuscirete a far credere alla gente che Leo Messi, tutto sommato, è uno che al massimo potrebbe giocare nel Montevarchi.  Nel caso specifico, ho solo un’aggiunta da fare, perdonatemi – da tifoso e non da giornalista. Quando io ho iniziato a segnarmi i risultati delle partite dell’Arezzo sugli album delle figurine Panini, Coso, lì, non era neanche nato. E io continuerò a seguire le sorti degli amaranto anche quando Coso avrà smesso di giocare a calcio, e quando l’attuale proprietà avrà ceduto le sue quote, disinteressandosi completamente delle sorti del cavallo rampante.  Magari questo vorrà pur dire qualcosa, vedete voi.

EDIT del 09/02/2016: QUI e QUI ci sono le due prese di posizione dell’US Arezzo in merito alla vicenda. Meglio tardi che mai.

10 cose da vedere ad Arezzo

Recuperando le cose scritte qua e là nel 2015, credo che questa mia carrellata meriti la vostra attenzione. Dieci tweet, ognuno per segnalare una cosa della mia città che merita di essere vista, con l’hashtag #10ThingsToBeSeenInArezzo ad identificarli tutti. Ecco, all’epoca questa mia idea fu apprezzata dai miei (non troppi) lettori, ma credo che la si potrebbe rilanciare, perché ognuno di noi, credo, ha le “sue” 10 cose da vedere nella propria città.

https://twitter.com/hashtag/10ThingsToBeSeenInArezzo?src=hash

1) Piazza Vasari, meglio conosciuta come Piazza Grande

ckr8_ykuwaau55o

2) Cattedrale dei Santi Pietro e Donato.

ckr-rywvaaevr_r

3) Piazza San Domenico

ckr_j_ivaaqvnwi

4) Crocifisso di San Domenico, Cimabue.

ckr_-ihusaeihe5

5) Anfiteatro romano

cksakcavaaeemkj

6) Fortezza Medicea

cksber4uaaabkwv

7) Chiesa di Santa Maria della Pieve

cksbz7gucaag8ql

8) Piazza della Libertà e Palazzo Cavallo

ckscwanukaa7sry

9) Basilica di San Francesco e Affreschi della Leggenda della Vera Croce

cksecloxaaafcrf

10) Giostra del Saracino

ckseetwucau4utj

21 parole aretine [che dovreste assolutamente conoscere]

Nota per il lettore: Questo post è debitore di una lodevole iniziativa promossa da Michele B.

Le ventuno parole sono in rigoroso ordine alfabetico, una per ogni lettera.

A come Alò. L’esortativo per antonomasia. Ha talmente tanti usi che è per una lista comunque parziale vi rimando al link qua sopra.
B come Balàcco. O Bischero. Dicesi di persona non particolarmente sveglia.
C come Cumbrugliume. O, se siete dei radical-chic, Crepuscolo.
D come Dagnene (secche). Sinonimo di “fatti valere”, utilizzabile in ogni ambito.
E come Enti. Che non è riferito agli Enti Locali. In questo caso, “ènti” è come dire “ma senti un po’?”
F come Fittumaio. Si, è riferito ad ammassi particolarmente densi di cose e/o persone.
G come Guazza. O rugiada. Ma volete mettere?
H come Hohahòladillote. Perché ad Arezzo le “c” si strascicano, casomai, ma si mettono sempre. Più che una parola, una fiera rivendicazione.
I come Imbavare. Che ha due significati: rincoglionire qualcuno a parole, oppure trattarlo in malo modo. Scegliete voi quale dei due preferite.
L come Lupa (tiro una). Dicesi “tiro una Lupa” (o “tiro una resìa”) quando si sta per inveire contro Nostro Signore.
M come Moccolo. Vuol dire “cero” ma vuol dire soprattutto “bestemmia”. Da usare anche come verbo, “Moccolare”.
N come Nappo (o Noccélo). Dicesi di persona particolarmente prestante, molto usato come forma di saluto quando non si ricorda il nome della persona che si ha di fronte (ammetterete che è molto più efficace di “ciao caro”). Originariamente era sinonimo di “fiasco”, nel senso del contenitore di vino (“un nappo de vino”).
O come Orzare. Non c’entra il cereale e neanche il caffè, diciamo che siamo piuttosto nel campo semantico della violenza fisica.
P come Panzanella. Che se non sapete che è, ma che avete campato a fare finora?
Q come Quartabòno. O taglio a quarantacinque gradi, per fare un angolo retto.
R come Ruzzare. Il contrario di “fare sul serio”.
S come Sdatto. Dicesi di persona carente sul piano della coordinazione fisica e/o della manualità.
T come Tàrnoccolo (o Tàrnocchélo). L’aretino ama insultare il prossimo suo. Questo è l’epiteto più profondo, e insieme più bello.
U come Ummedo. Se questa non la capite, io con voi non ci voglio neanche parlare.
V come Vire. O andare. Anche in questo caso, volete mettere?
Z come Zeppare. All’incirca, significa spingere, ma con più impegno.

Ecco, se venite ad Arezzo, io vi consiglierei di stamparvi almeno questa pagina. In attesa di un dizionario vero e proprio, che prima o poi, ne sono certo, uscirà.