Casa Del Vento – Alle Corde (2022)

La copertina della mia copia, come recapitatami brevi manu da Luca Lanzi davanti alla Feltrinelli di Arezzo

Non credo di averglielo mai detto di persona, perché boh, immagino semplicemente non ci sia mai stata l’occasione e il contesto giusto per farlo, quindi approfitto di questo post per rimediare. Ho la fortuna di conoscere di persona due dei membri della band, e di entrambi ho una grande, grandissima stima personale, che deriva da certe situazioni che ho avuto – in momenti diversi – il piacere di condividere con loro. Storie di battaglie per la tutela dei paesaggi dei miei luoghi natii, storie di difesa della Costituzione, oltre ad esser loro eternamente grato per il disco “Sessant’anni di resistenza“, un album che avrò il piacere e l’onore di condividere coi miei figli, raccontando loro che questo è stato, nei nostri territori, in un tempo tutt’altro che remoto. Questa mia predisposizione favorevole nei loro confronti, che poi è anche il motivo per cui sono stato tra i primi (credo) a sostenere la “produzione dal basso” del loro nuovo album, mi rende poco adatto a doverne parlare in termini di recensione, in quanto in tutto questo preambolo ho già fatto capire come e perché l’oggettività del giudizio sia andata a farsi benedire. E però, a salvarmi c’è un però, i miei ascolti musicali non sono solitamente proprio vicinissimi alle sensibilità della Casa, quindi se preso in mezzo tra questi due estremi ho scelto di non scegliere il silenzio e di parlarvi di questo disco è perché secondo me lo merita. E insomma vabbè, i panni del recensore oggettivo li ho già smessi, quindi vi dico solo che questi dieci pezzi – anzi, dieci round, come sottolinea la grafica dell’album – mi hanno emozionato a più riprese. Nelle lettere ai propri genitori (“Il pane e le spine”, “Raccontami ancora”), in quella al figlio (“La tua vita”), nei pezzi che strizzano l’occhio ai Mumford & Sons (“Danza del mare”) , nelle ballad rock (“Mare di mezzo”, Kenmare”), nei pezzi con più verve (“Alle corde”, “Born in the ghetto” e “Sulla tua pelle”) e in quello più nel solco del folk rock che da anni ormai risuona nella Casa del Vento (“Girotondo a Sant’Anna”).

La pagina del booklet in cui mi ha messo la firma – in penna
rossa da me fornita – non è casuale.

La verità è che sono rimasto ammirato, all’ascolto, dalla capacità di songwriting (lo so, sembro uno che ne capisce, ma la realtà è semplicemente che sono uno che ascolta parecchia musica, e ho l’ardire di saper discernere, almeno a sensazione, se una canzone è stata scritta in modo “curato” o “di getto”, se è artefatta o reale, se è scritta col cuore o con gli algoritmi). La Casa del Vento scrive e interpreta sé stessa e le sensibilità che la abitano, in maniera eccelsa. Ed ecco che anche io, figlio del rock psichedelico, risvegliato dal grunge, ipnotizzato dai Radiohead e dai Massive Attack e nuovamente ridestato dal post rock dei Mogwai e dei Giardini di Mirò, ascolto e riascolto questo album, che ho in infinitesimale parte contribuito a far nascere per la stima di cui sopra etc etc, perché le canzoni che lo compongono non sono realmente quelle che immaginavo di trovarci, ma al tempo stesso sono assolutamente pezzi “da Casa del Vento”, un gruppo di musicisti veri e persone sensibili, che ha trasmesso quel che aveva da dire in questi dieci pezzi (dieci round, pardon!) in maniera schietta, semplice, diretta, con un folk rock appena appena contaminato che a me – degli ascolti di cui poco sopra – lo rende decisamente più orecchiabile. E allora viva la Casa del Vento, che a distanza di oltre vent’anni riesce ancora a scrivere canzoni autentiche. Di questi tempi, merce rara.