Gli orti dapprima sequestrati per la presenza di diossina e poi dissequestrati, a Ripa di Olmo, pochi anni fa. Le colonne di fumo rosa a Badia al Pino, e l’esplosione con conseguenze gravi per due lavoratori a Castelluccio. Adesso quello che è successo a San Zeno, con numerose persone finite al pronto soccorso per sospetti di intossicazione. Ma ogni volta ci viene ripetuto lo stesso ritornello: è tutto ok, abbiamo controllato, non ci sono elementi di tossicità. Ma il ricorrere continuo di questi eventi, negli ultimi anni, alla luce del raddoppio di volumi concesso ad una di queste aziende, fa emergere almeno due domande, pressanti, da non addetti ai lavori.
La prima, inevitabile: quis custodiet ipsos custodes? Ovvero, chi controlla i controllori? ARPAT fa il suo lavoro, e fino a prova contraria quello che ci dice è vero e attendibile, ma trattandosi della salute dei cittadini, come non chiedersi: c’è un doppio riscontro? Qualcuno che faccia delle analisi incrociate?
La seconda, altrettanto stringente: il territorio di Arezzo e zone limitrofe può sostenere lo stress di TRE aziende che trattano rifiuti speciali in un raggio di meno di 10 km?
Sono interrogativi da prendere terribilmente sul serio, perché non si parla di questioni di secondaria importanza: l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, i prodotti che mangiamo, non sono questioni che si possono eludere, liquidare con leggerezza, perché riguardano il presente e ancor di più il futuro. Non è il mal di testa di oggi a preoccupare, è la falda acquifera di domani, le verdure dell’orto che arriveranno sulle nostre tavole dopodomani, l’aria che respireranno i nostri figli crescendo. Non è più sufficiente limitarsi a dirci “state tranquilli”, non è tempo di fare facili allarmismi, è il momento di fare domande e pretendere risposte precise. Che poi sarebbe il compito di chi fa politica ed amministra la cosa pubblica, en passant.