Alcuni episodi fondamentali di Dylan Dog

(Articolo pubblicato originariamente su Il Baffo, il defunto blog del Karemaski, il 16 aprile 2013)

Quando si prepara un post del genere, ovviamente ci si espone ad un fuoco di fila che non è evitabile. Dylan Dog è uno dei fumetti di maggior successo in Italia, in termini di vendite, da… uhm, facciamo da quando esiste il fumetto? Ergo, non potendo evitare strali, critiche, vilipendi e quant’altro, ho deciso – sia benedetto il mezzo del blog – di fare come mi pare, e di segnare semplicemente i dieci episodi dei quali IO non avrei potuto fare a meno. E se almeno un pochino vi fidate di me, dovreste proprio leggerli.

[Nota doverosa per il lettore: la numerazione da 1 a 10 non rappresenta una classifica, quanto piuttosto una catalogazione in ordine cronologico.]

1. L’alba dei morti viventi (Serie regolare, numero 1, ottobre 1986)

Come fate a leggere un fumetto se non ne avete letto il primo episodio, la genesi di tutto quanto? Un episodio che deve tantissimo ai film “classici” sugli zombi di George Romero, che inaugura (ovvio, in quanto numero 1) il periodo “citazionista” dell’Indagatore dell’Incubo:  una serie di episodi, scritti per la maggior parte da Tiziano Sclavi, in cui individuare le citazioni di film, dischi, libri e varie amenità è stato un gioco divertente anche per i lettori.  Ad impreziosire il tutto, i disegni di quello che chi scrive ritiene tuttora il miglior disegnatore in forza alla serie: Angelo Stano.

2. Gli Uccisori (Serie regolare, numero 5, febbraio 1987)

Sempre parlando di disegnatori, e giusto per ribadire la propensione al campanilismo di chi scrive, questo è il primo episodio di DD ad essere stato disegnato da un aretino, il “magnusiano” Luca Dell’Uomo. Basta questo a farlo entrare in questa top ten? Evidentemente no.  Da “Gli uccisori” è stato anche tratto il primo videogame dedicato a Dylan Dog, per il [lacrimuccia] Commodore 64, e come se ciò non bastasse, è un episodio pieno di quella che qualcuno ama chiamare violenza “gratuita”, probabilmente il primo a far scandalizzare diversi benpensanti.  Non a caso, tra i cammei di quest’albo ci sono due personaggi che con la “violenza gratuita” hanno un bel po’ a che fare: Anthony Burgess (che se non sapete chi sia io non vi voglio neanche conoscere) e Dario Argento.

3. Morgana (Serie regolare, numero 25, ottobre 1988)

Ancora una volta, alle matite abbiamo Angelo Stano, e non è un caso. Un episodio dalla trama surreale (surrealista?), che introduce un personaggio fondamentale, che semina indizi talmente importanti per il futuro della serie che – ne sono ragionevolmente sicuro – all’epoca nessuno se ne rese conto, tranne forse Tiziano Sclavi, che ça va sans dire, di DD è stato per lunghissimo tempo il deus ex machina. Un episodio che potreste leggere anche se non avete mai letto Dylan Dog prima d’ora.  Forse l’albo letto e riletto più volte da chi scrive, dopo “Storia di nessuno”, di cui parliamo tra poco.

4. Orrore nero (Serie Speciali, numero 3, estate 1989)

Avete mai sentito parlare di “Dellamorte Dellamore”, romanzo di Sclavi che ha visto la luce nel 1991, da cui tre anni dopo è stato tratto un trascurabile film con Rupert Everett e Anna Falchi?  Magari sì o magari no, non è fondamentale.  Il fatto importante è che questo romanzo, a quanto pare, era stato scritto da Sclavi nei primi anni ottanta e poi in parte smarrito, ma conteneva in sé una versione molto acerba e molto in fieri dell’indagatore dell’incubo che sarebbe stato.  “Orrore nero”, uscito due anni prima del romanzo, ripercorre questo percorso, mostrando affinità e divergenze tra Francesco Dellamorte e Dylan Dog, tra l’indagatore che avrebbe potuto essere e quello che invece è stato.

5. Storia di nessuno (Serie regolare, numero 43, aprile 1990)

…che di “Morgana” rappresenta il seguito, forse ancora più estremizzato nel suo essere “nonsense” eppure fondamentale per la storia del personaggio, tra citazioni borgesiane e Sclaviane (l’episodio pesca a piene mani da “Tre”, romanzo scritto dallo stesso autore di Dylan Dog); per mesi la redazione bonelliana venne tempestata da lettere che chiedevano più o meno “ma che diavolo è successo in Storia di nessuno?” Inutile tentare di spiegarvi anche la trama. Vi basti sapere che questo, oltre ad essere un altro episodio clou per la saga dylaniata, è – a modesto giudizio di chi scrive – l’episodio con la copertina più bella (all’epoca, ne feci fare una maglietta), i disegni migliori e una trama che sconfina nel Fumetto d’Autore (brr…)

6. Caccia alle streghe (Serie regolare, numero 69, giugno 1992)

Ovvero, la reazione Dylandoghiana (o meglio, sclaviana) alla new wave maccartista che in Italia, nei primi anni ’90, cercava di moralizzare il mondo del fumetto e del cinema horror, in un periodo in cui erano state scoperte le pentole su ben altre amoralità del nostro Paese. Una storia “a finale aperto”, dove la decisione riguardo al finale deve essere presa dal lettore.  Una storia in cui anche l’humour di Groucho è un po’ meno “leggero”, soprattutto in una battuta che abbiamo sentito ripetere molte altre volte, in altri contesti.  “Dire che il fumetto horror travia i giovani è un insulto idiota!” “Al fumetto horror?” “No, ai giovani!”

7. Il lungo addio (serie regolare, numero 74, novembre 1994)

Una storia su un amore adolescenziale di Dylan Dog, ambientata durante una vacanza al mare, splendidamente illustrata da Carlo Ambrosini, uscita per la prima volta in un piovoso novembre quando chi scrive aveva quindici anni. Chiaro come il sole che mi sarebbe rimasta nel cuore, altrettanto chiaro che mi sarebbe rimasta impressa in mente anche oggi, a quasi vent’anni di distanza, perché mi ha fatto capire che gli universi narrativi possibili di questo personaggio sono pressoché infiniti, basta saperli cercare.  È stato forse con questo episodio che si è veramente capito che DD era un fumetto che sarebbe potuto durare a lungo.

8. La storia di Dylan Dog (serie regolare, numero 100, gennaio 1995)

La storia che chiude l’ideale “tetralogia” che comprende anche i numeri 1, 25 e 43.  Firmato, come i precedenti, da Sclavi & Stano, è l’episodio che all’epoca tutti i lettori di Dylan Dog aspettavano.  Chi è realmente Xabaras? Come nasce l’amore impossibile di Dylan Dog per Morgana? Riusciremo a capire qualcosa in quello che è successo in “Morgana” e in “Storia di nessuno”? Questo albo comincia a dare alcune risposte, a tirare le fila di un personaggio noto sì per gli episodi autoconclusivi, ma che ha un passato, un presente e una serie infinita di possibili futuri.

9. Il numero duecento (serie regolare, numero 200, maggio 2003)

In una sola frase, “come l’indagatore dell’incubo è diventato l’indagatore dell’incubo”. L’alcolismo, l’abbandono di Scotland Yard, la nascita del rapporto con Groucho, l’acquisto del galeone, la citazione di Zanardi di Andrea Pazienza:  un albo da gustare pagina dopo pagina, con una Barbato (purtroppo) mai più a questi livelli e un Bruno Brindisi, recentemente diventato copertinista per la ristampa a colori di Repubblica, giunto finalmente ad una notevole maturità artistica.  Se uno volesse capirci qualcosa, del personaggio di Dylan Dog e del perché ha così tanto successo, potrebbe anche leggersi solo quest’albo.

10. Mater morbi (serie regolare, numero 281, gennaio 2010)

Dylan Dog è malato, di un misterioso morbo del quale nessuno riesce a capire niente.  Mater morbi è “la madre di tutte le malattie”.  Una storia che invita a riflettere sulla condizione psicologica dei malati gravi, sull’eutanasia, sulla sofferenza umana.  Una storia che ha riportato l’Indagatore dell’Incubo alla ribalta delle cronache, non solo fumettistiche, con tanto di interrogazioni parlamentari e altre amenità varie.  Un albo in parte autobiografico, scritto da uno degli autori più in vista del fumetto italiano contemporaneo, Roberto Recchioni, che di sé stesso dice di essere “diversamente sano”, e disegnato da un maestro conclamato del fumetto italiano, quel Massimo Carnevale che chi scrive vorrebbe come prossimo copertinista di Dylan Dog.  Un episodio che dimostra come il personaggio di Dylan Dog può ancora dire qualcosa di nuovo, un albo talmente ben accolto dai lettori che la BAO Publishing, casa editrice giovane ma assai competente, ne ha appena realizzata una versione “deluxe” per il mercato librario.

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La copertina dell’edizione in volime di “Mater Morbi” edita da BAO Publishing

Un personaggio, quello dell’Indagatore dell’incubo, che diverse volte è stato dato per morto, ma che a parere di chi scrive non ha ancora esaurito le sue potenzialità narrative.  E che comunque da oltre un quarto di secolo continua a godere di un’invidiabile vitalità. E a testimoniare quanto ho scritto, ci sono le decine e decine di storie che NON sono rientrate in questa top ten.  Se conoscete il personaggio, potete aggiungerle voi.

Alcune cose belle fatte da Frank Miller [prima che baltasse di capo]

(Articolo pubblicato originariamente su Il Baffo, il defunto blog del Karemaski, il 22 gennaio 2014)

Uno vede un tipo come Frank Miller, sempre in giro in giacca scura e bombetta, un po’ come Tom Waits in Daunbailò, e gli sembra un tipo ganzo.

It’s a sad and beautiful world…

            It’s a sad and beautiful world…

Poi dà un’occhiata al suo portfolio, o alle cose che ha fatto in passato, e gli sembra un tipo ancora più in gamba.

Si, perché Frank Miller è uno di quelli che, dopo aver cominciato a lavorare con le “major” come disegnatore dell’Uomo Ragno (in un bellissimo episodio di Marvel Team-Up del 1980, sceneggiato da Chris Claremont e intitolato “introducing: Karma!”), ha contribuito a trasportare il fumetto americano nell’età adulta.  Nei pezzi scorsi di questa rubrica, abbiamo parlato di V per Vendetta e di Watchmen, del concetto di “revisionismo supereroistico” e di tante altre belle robe.  Tutte cose che sono state oggetto di studi molto più approfonditi e competenti di quanto in questo spazio si possa disquisire.  Alcune delle pagine più belle del fumetto americano degli anni ottanta e novanta, sempre su questo filone, sono state firmate proprio da lui, da quel Miller che ha dapprima rivoltato come un guanto il personaggio di Daredevil, introducendo il personaggio di Elektra e realizzando le splendide saghe “L’uomo senza paura” e “Rinascita”, più volte (meritatamente) riproposte in volume e disegnate rispettivamente da John Romita Jr. e David Mazzucchelli.  Poi, non contento, si è dedicato a Batman, per cui ha realizzato testi e disegni de “Il ritorno del cavaliere oscuro” (e se questo titolo non vi dice niente, beh, io non so come fare con voi) e “Batman: Anno Uno”, ancora con Mazzucchelli, saga altrettanto bella anche se un po’ meno nota.  Poi, dopo aver fatto le fortune di Marvel e DC Comics, ha creato per la Dark Horse Comics il personaggio di Martha Washington (di cui consiglio fortemente il recupero) e subito dopo la fortunatissima serie di “Sin City” (anche questa dovrebbe dirvi qualcosa, specialmente se siete fan di Robert Rodriguez e/o di Jessica Alba), di cui ha realizzato nuovamente testi e disegni, in un bianco e nero all’epoca decisamente non-mainstream nel fumetto americano, che diventerà il marchio di fabbrica della serie, i cui contenuti rimandano alla tradizione del noir e ancor di più dell’hard-boiled, sia in campo romanzesco che cinematografico, a stelle e strisce. Su Sin City, che è l’opera che ha definitivamente proiettato Frank Miller nell’olimpo dei comics USA (ad oggi, questa serie ha fruttato a Miller ben otto Eisner Awards, l’equivalente fumettistico del Premio Oscar, per dire), sono stati versati fiumi e fiumi di inchiostro, sono state scritte opere di saggistica, tesi di laurea e quant’altro:  per alcuni si tratta del punto più alto del fumetto americano degli anni novanta, per altri un’opera trascurabile (per l’eccessiva essenzialità dei disegni, delle trame, dei dialoghi), per chi scrive una lettura imprescindibile.  Non pago, sempre per la casa editrice del cavallo nero realizza anche la saga di “300” (anche qui: se negli ultimi tempi avete notato un deciso aumento dell’uso delle parole “spartano” e “Termopili”, ecco, probabilmente una parte della responsabilità è sua) e un mucchio di altre cose.  Inoltre, ha messo la sua “griffe” anche in casa Image Comics, scrivendo il numero 11 della serie “Spawn” e il crossover “Spawn/Batman”.  Si è dedicato anche, a vario titolo, alla realizzazione di progetti cinematografici (co-sceneggiando “RoboCop 2″, “RoboCop 3″, “300″, “Sin City” e dirigendo “The Spirit“, adattamento del fumetto di Sua Maestà Will Eisner, quello dei premi di cui sopra).  Insomma, uno dei nomi indubbiamente di punta del fumetto mondiale degli ultimi trent’anni. Fino a “Holy Terror”, la sua opera più controversa, quella che a parere di chi scrive avrebbe potuto risparmiarsi, quella che gli ha portato più rogne e critiche che altro.

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                                           La cover dell’edizione USA di Holy Terror

Uscita nel 2011 per la casa editrice Legendary, “Holy Terror” è una di quelle storie di cui si è sentito parlare per quasi un decennio prima che vedesse effettivamente la luce, e che avrebbe fatto meglio a rimanere nel cassetto di chi l’ha concepita.  Si cominciò a parlare di questa storia come di un possibile albo fuori serie di Batman, che avrebbe dovuto rappresentare la reazione del Crociato Incappucciato agli attacchi terroristici contro gli USA, ma che poi è diventata una storia a sé stante. A detta del suo creatore, perché ad un certo punto aveva deciso che non sarebbe più stata una storia di Batman.  Secondo altre versioni, perché la DC Comics la riteneva troppo provocatoria per essere pubblicata con l’alter ego di Bruce Wayne come protagonista.  Definito da Miller stesso un fumetto propagandistico, una sorta di attualizzazione dei comics degli anni ’40, quelli in cui Superman e Capitan America prendevano a calci in culo Hitler e i Nazisti, una storia “bound to offend just about everybody” (sempre per usare le parole dell’autore), in sostanza un fumetto dove The Fixer è l’incarnazione dell’idea di patriottismo del suo autore, e lotta contro Al Qaeda nel più semplicistico dei bianco contro nero, buono contro cattivo eccetera.  Insomma, ci siamo capiti.

Ora, per non parlare troppo del “personaggio” Miller, delle sue idee ultraconservatrici e del suo patriottismo quasi grossolano, bisogna riportare tutto nel suo giusto contesto.  Frank Miller è un grande del fumetto, e se non avete letto niente di lui vi consiglio di rimediare al più presto, perché c’è tanta, tantissima roba che non è semplicemente degna di essere letta, ma è realmente di altissimo livello.  Dare un giudizio su Miller solo sulla base di Holy Terror è un approccio miope e altrettanto semplicistico di quanto ha fatto lui in questa sua controversa opera.  Il dibattito tra opere scritte e biografie dei loro autori è talmente lungo da essere ormai fine a sé stesso, e va da Gabriele D’Annunzio a Giovanni Lindo Ferretti e via discorrendo, che volete che sia un Frank Miller in più o in meno in questo calderone.  Il punto di vista di chi scrive è abbastanza chiaro già dal titolo di questo pezzo, magari a voi potrebbe piacere pure Holy Terror (in italiano, è uscita per Bao Publishing col titolo “Sacro Terrore” nel 2012).  Ecco, in tal caso, non ditemelo, fa lo stesso.

Per la cronaca, la Bao Publishing è la stessa che pubblica Zerocalcare, autore di fumetti nato nella nostra città (ma cresciuto altrove, tra la Francia e Roma).  Non lo conoscete? Beh, per oggi abbiamo parlato di Miller, voi intanto documentatevi su Zerocalcare e sono certo che non ve ne pentirete.