From San Giuliano to Marvel Universe: intervista con Nicola Peruzzi

(Articolo pubblicato originariamente su Il Baffo, 14 maggio 2014)

Ho conosciuto Nicola Peruzzi – se non ricordo male – nel 1998, alla fermata dell’autobus di Piazza Guido Monaco. Mi venne presentato come persona che condivideva con me la passione per i fumetti. Era vero;  anzi: era molto più vero di quanto mi sarei potuto immaginare durante quel primo incontro. Da allora abbiamo parlato un bel po’ di volte di fumetti, dalla gestione di Straczinski su Amazing Spider-Man (di cui lo sponsor ero io) a quella del Daredevil di Bendis prima e Brubaker poi (consigliatemi da lui, non credo di averlo mai ringraziato abbastanza), dagli aneddoti legati a Lucca Comics – a volte con autori di fumetti, a volte senza – a Martin Mystère, dagli X-Men di Chris Claremont, alla “Lunga Notte dell’investigatore Merlo” (se non sapete cosa sia, cospargetevi il capo di cenere e poi correte a recuperarlo, visto che è stato recentemente ripubblicato), fino a Grant Morrison, la sua più grande passione in campo fumettistico, su cui ha scritto, insieme ad Antonio Solinas e Giovanni Agozzino, un (notevolissimo) libro-saggio, il primo al mondo che analizzi il lavoro dell’autore scozzese a 360°.  Ora, siccome Nicola, oltre che nostro concittadino è persona estremamente in gamba, di strada nel mondo del fumetto italiano ne ha fatta un tot. Attualmente, se vi capita di comprare un qualsiasi albo Marvel pubblicato in Italia dalla Panini, nel colophon di pagina 2 trovate scritto il suo nome, in qualità di responsabile del coordinamento di redazione.  Il che ha fornito lo spunto per la chiacchierata che state per leggere, dove si parla di Arezzo, di musica, di serie TV… e ovviamente di fumetti. 

  1. Ciao Nicola, e cominciamo con una domanda “autocelebrativa”: che ne pensi del Karemaski e del suo bellissimo blog?

Ciao a te, Roberto. Penso che sia un bel posto con un nome splendido, un logo eccezionale e con tanta gente in gamba a gestirlo.

  1. Sappiamo che la tua passione per il fumetto parte dalla tenera età:  quand’è che hai capito che avresti anche potuto farne una professione?

Diciamo che ci ho sempre creduto. Sono un lettore di fumetti da quando ho memoria, e la prima volta che ho preso seriamente in considerazione l’idea di lavorare nel fumetto è stato all’università, quando ho conosciuto persone che, come me, erano appassionate e attive nel settore amatoriale, tanto come autori quanto come critici. Pian piano, ho cominciato a scrivere di fumetti, un po’ perché mi piaceva, un po’ perché ne sentivo l’esigenza. Mi sono unito al gruppo dei sardi di Comics Code, con i quali poi ho fondato De:Code e De:Code 2.0.

Da lì a poco ho cominciato a frequentare fiere, conoscere sempre più gente del settore, e a intavolare collaborazioni a tutti i livelli: da standista ad articolista, da traduttore (ma mai accreditato, ahimè) a curatore della parte artistica di Narnia Fumetto e Fumetterni. Dopo un paio di anni di inattività (strano a dirsi, ma fu per scelta, ero satollo), è arrivata la grande occasione. Grazie infatti a un annuncio su Facebook, nel maggio 2011 ho inviato il mio curriculum in Panini e sono entrato praticamente subito nella redazione Germania in qualità di coordinatore editoriale. Poco più di un anno dopo, mi hanno trasferito in redazione Italia, in qualità di coordinatore della linea comics. E questo è per sommi capi il riassunto della strada che mi ha portato fino a qui.

Nicola Peruzzi (al centro) in versione Star Wars

Nicola Peruzzi (al centro) in versione Star Wars

  1. Il tuo ruolo in Panini Comics ti rende di fatto una personalità influente nel panorama del fumetto italiano, come è già successo in passato, in questo o in altri ambiti, ad altri nostri concittadini:  secondo te è d’uopo parlare di Arezzo come di una città “fumettosa”?

Ti ringrazio per l’influente, anche se penso di dover ancora meritare quell’aggettivo. Influenti sono invece, come dici tu, quei tanti autori di fumetti che vivono e lavorano nella nostra bella città e che la arricchiscono dal punto di vista culturale. L’idea che Fabio Civitelli, disegnatore di Tex, fosse proprio aretino mi ha sempre colpito fin da bambino. E non nascondo che forse, la cosa mi ha colpito al punto tale da avermi fatto perseverare a cercare lavoro in questo settore. Per me da piccolo Tex era IL fumetto, e il fatto che il suo disegnatore (al tempo non avevo idea che fossero molti disegnatori ad alternarsi) fosse mio compaesano era assolutamente incredibile.

Arezzo è senza dubbio un capoluogo per il fumetto in genere: oltre al Civitelli sono innumerevoli le personalità legate al settore che rendono la provincia toscana importante per la nona arte. Di recente ho collaborato, per esempio, con Marco Santucci e Simone Peruzzi per alcune variant cover che abbiamo realizzato, generandole da zero, per il ventennale di Panini Comics. Posso dire senza ombra di dubbio che collaborare con due autori Marvel aretini a un progetto Marvel Italia, è stata una delle esperienze più remunerative in termini di soddisfazione personale degli ultimi anni.

  1. Negli ultimi tempi, Panini Comics sta facendo un grande lavoro di “recupero” di serie pubblicate a spizzichi e bocconi, o pubblicate solo in parte, in Italia.  Penso per esempio a Grendel, o a Miracleman, di cui sei anche curatore e della quale abbiamo parlato qualche giorno fa su Graphic Nobel. Quanto ti sei speso in questo senso?

Davvero molto, devo ammetterlo. Sono io per primo un amante di questo particolare tipo di fumetto, non mainstream e rappresentativo di un periodo storico in cui gli autori indipendenti, seppur tra mille difficoltà, riuscivano a far fronte alle major e a pubblicare e spesso autopubblicarsi i propri lavori, portandoli avanti per anni e anni con successi oggi insperabili.

Sia Grendel che Miracleman, per limitarmi ai due che hai citato, sono opere alle quali sono legato a doppio filo nella mia storia personale. Poter lavorare a entrambe non solo come coordinatore, ma anche come co-curatore per Grendel (assieme al valido Antonio Solinas) e come supervisore per Miracleman, è stato per me come chiudere un cerchio.

Un’altra serie alla quale sono particolarmente legato è Concrete. Lavorare fianco a fianco con una leggenda vivente del calibro di Paul Chadwick per la realizzazione di copertine inedite per la serie, è una cosa che ancora non riesco a comprendere completamente, nella sua portata. E il prossimo maxi-progetto che inizierà a momenti è la completa di Madman di Mike Allred.

Che posso dire? Vivo il sogno.

  1. Tendenzialmente, l’esperto di fumetto viene classificato genericamente come “nerd”, un termine che sta assumendo una connotazione sempre meno negativa rispetto a quanto non avesse, ad esempio, solo qualche anno fa.  Quanto pensi sia importante, questa “attitudine nerd”, nel tuo lavoro?

È ovviamente importante, anche se io parlerei più di attitudine geek, piuttosto che nerd. Il secondo termine infatti ha un’accezione negativa che non rispecchia del tutto “il sacro fuoco” che guida il geek, che a differenza del nerd è pienamente consapevole del fatto di essere un unicum nel suo genere per interessi e non solo, e ne va fiero. Il geek, a differenza del nerd, mostra la sua attitudine indossando t-shirt a tema, per far sapere a tutti quali sono i suoi interessi.

Al di là della semantica, comunque, quell’attitudine è importantissima, ma è nulla se non è accompagnata da serietà, perizia e dedizione. Spesso infatti si pensa che basti conoscere a menadito l’universo Marvel e aver letto più fumetti possibile per poter lavorare nei fumetti. Purtroppo non è esattamente così. È un lavoro a tutti gli effetti; se è accompagnato dalla passione tanto meglio, ma si tende a preferire gente che abbia un’esperienza comprovata nell’editoria a grandi appassionati econnoisseurs ma con poca esperienza. Poi, ovvio, dipende tutto dal genere di lavoro che uno vuol fare. Se vuoi fare l’editor, la geekness deve scorrere potente in te. Se vuoi ricoprire altri incarichi, può essere meno importante.

  1. Panini Comics pubblica a tutt’oggi fumetti bellissimi, con le varie linee editoriali in cui è strutturata. Ma se tu dovessi consigliare UN solo titolo tra quelli pubblicati dalla casa editrice dove lavori, quale sarebbe, oggi come oggi?

Questa è una domanda impossibile, o quasi. Pubblichiamo libri troppo diversi tra loro, in linee editoriali assolutamente diverse per attitudine e pubblico di riferimento. Il meglio che possa fare è consigliarti un titolo per specifica linea editoriale.

Parlando di Marvel, questo è davvero un buon momento per leggerla. I migliori autori sul mercato scrivono e disegnano per la Marvel, per cui qualsiasi testata scegli è assolutamente valida. Il mio consiglio è di cominciare a seguire DEVIL E I CAVALIERI MARVEL con il rilancio ALL-NEW MARVEL NOW! (per i non fumettari, si tratta di un punto di inizio ideale per nuovi lettori, che possono cominciare a leggere Marvel senza preoccuparsi eccessivamente di trame e sottotrame del passato) che avverrà a settembre. Lì dentro ci finirà il meglio della Marvel dall’anima “indipendente”: DAREDEVIL di Mark Waid e Chis Samnee, THE PUNISHER di Nathan Edmondson e Mitch Gerads, ALL-NEW GHOST RIDER (apparentemente la serie più truzza e cafona dell’universo Marvel) di Felipe Smith e Tradd Moore, Thunderbolts di Charles Soule e Carlo Barberi. Una garanzia.

Per la linea Panini Comics, il mio consiglio va senza dubbio a THE MANHATTAN PROJECTS di Jonathan Hickman e Nick Pitarra. È una serie di fantascienza con protagonisti i più grandi fisici del secolo scorso. Einstein, Oppenheimer, Fermi, Fenyman e tanti altri personaggi storici che usano la bomba atomica come copertura per esperimenti ben più estremi.

Per la nostra linea 9L, che non gestisco direttamente ma che seguo da appassionato lettore, non posso che consigliare LOVE & ROCKETS. Un pezzo di storia del fumetto, uno spaccato dell’America tra gli 80 e i 90 raccontata da quei geni dei los bros Hernandez.

Non sono un grande appassionato di manga, ma da gattaro non mi perdo un numero di CHI, CASA DOLCE CASA. Chi ama i gatti, può capire perché solo leggendolo.

  1. Adesso dicci un titolo di quelli che NON sono pubblicati dalla Panini, e che secondo te tutti dovrebbero leggere.

Ah beh, è facile: THE INVISIBLES, di Grant Morrison e, tra gli altri, Steve Yeowell, Phil Jimenez e Jill Thompson. In Italia è stato pubblicato prima da Magic Press, poi ristampato da Planeta DeAgostini e portato a termine da RW Lion. Senza timore di smentita il miglior fumetto che sia mai stato scritto, e per me l’equivalente per la nona arte della trilogia di Guerre Stellari: tutto quello che so della vita, l’ho imparato da The Invisibles.

È un capolavoro senza tempo della controcultura che ha cambiato, senza che la massa se ne accorgesse, il cinema, la letteratura, la televisione. Tutti dovrebbero imparare a diventare invisibili.

  1. Molto spesso, gli appassionati di fumetto hanno anche velleità autoriali più o meno nascoste.  Le tue, quanto sono nascoste, se ci sono? O magari ci stai per svelare in anteprima che stanno per venir fuori?

No, assolutamente. Sono un editoriale puro, mi piace fare l’editor e credo sia quello che riesco a fare meglio. Non so disegnare e, sebbene sappia scrivere, non ho mai avuto velleità autoriali in tal senso.

  1. Tempo fa hai pubblicato, insieme ad Antonio Solinas e Giovanni Agozzino, un libro (intitolato Grant Morrison: All Star“, NdR) che la dice lunga su quale sia il tuo autore di fumetti preferito.  Ma sicuramente ce ne sono altri che valgono la pena di consigliare ai lettori di Graphic Nobel.  Chi c’è, nel tuo Pantheon, insieme allo scrittore scozzese?

Sebbene la sua produzione sia diminuita fortemente, il mio preferito resta sempre lui, l’inarrivabile Grant Morrison. Ma ne ho già parlato abbastanza poco sopra, per cui mi fermo qui.

Molti dei miei autori preferiti di sempre li ho già citati nelle domande precedenti. Non sto a citare “i grandi antichi” come Alan Moore, Matt Wagner e compagnia, altrimenti non ne usciamo vivi.

Mi limiterò a citare i miei preferiti del momento. Tra le “nuove leve” trovo grandioso Jonathan Hickman, che mi ricorda molto da vicino Morrison, sia nella sua veste di autore indie che in quella di autore Marvel. La sua capacità di pianificare storie a lungo termine è veramente fuori dal comune.

Mi piace molto Rick Remender, che mi ricorda per prosa i grandi autori Marvel del passato (Chris Claremont in primis) senza però eccedere nell’autocompiacimento.

Trovo altalenante Matt Fraction, che se da una parte riesce in capolavori come Occhio di Falco o Sex Criminals, si vede fin troppo bene quando non ha voglia di scrivere.

Trovo mostruosamente sottovalutato Greg Rucka, e adoro alla follia Ed Brubaker, anche se forse lo trovo troppo legato a un unico genere.

Charles Xav… ehm, Grant Morrison, in posa con il libro a lui dedicato.

Charles Xav… ehm, Grant Morrison, in posa con il libro a lui dedicato.

  1. Negli ultimi anni, il mondo del fumetto è diventato sempre più “crossmediale”, tra le decine di film realizzati e le serie TV ispirate a titoli della Nona Arte. Secondo te questa sovraesposizione ha fatto più bene o male ai comics?

Fa solo bene, senza ombra di dubbio.

Partecipo ormai a tutte le fiere del fumetto sia come editor che come standista addetto alla vendita, e una cosa che noto sempre con maggiore frequenza fiera dopo fiera è come si stia sempre più diversificando il pubblico di lettori dei fumetti di supereroi. La cosa che salta immediatamente all’occhio è la quantità enorme di ragazze che divorano fumetti finora considerati “da maschietti”. Conoscono l’universo Marvel e lo apprezzano in tutta la sua complessità. Leggono le cose più disparate, da Occhio Di Falco agli X-Men, dagli Avengers a Devil. Ora, sai bene quanto me che ai tempi nostri, i fumetti – specialmente quelli di supereroi – li leggevi di nascosto. Figuriamoci se le ragazze si sarebbero mai avvicinate al genere supereroi. Le uniche cose unisex erano i manga (ma anche lì, dipendeva molto da quali leggessi) e Dylan Dog (ma parlo degli anni in cui era un fenomeno che trascendeva qualsiasi genere). Ogni volta che alle fiere incontro una ragazza che acquista un albo Marvel, le chiedo come è arrivata ai fumetti. Nove volte su dieci la risposta è grazie ai film.

E adesso, con dieci serie TV tratte dai fumetti in produzione (di cui 6 Marvel e il resto di DC e indipendenti), si riuscirà ad arrivare a un pubblico ancora più vasto e differente.

È necessario per prima cosa rendersi conto di tutto questo pubblico potenziale e riuscire a parlare anche e soprattutto a loro, perché se pensiamo che i fumetti si vendano da soli o che contaminazioni del genere possano far male al fumetto perché non lo rispettano e sporcano qualcosa di puro, o viviamo nel secolo sbagliato o non abbiamo idea di quello che stiamo facendo.

Nel nostro piccolo, ci stiamo attrezzando sempre più per assecondare questo fenomeno e portare i nostri fumetti in mano a sempre più gente: in occasione di Captain America The Winter Soldier abbiamo infatti stampato un flipbook Cap/Guardiani della Galassia che è stato distribuito nel circuito UCI Cinemas e The Space. Cerchiamo, quando ci è possibile, di fare uscire edizioni delle storie che hanno ispirato i film in edicola e in libreria in modo che i lettori che ne vogliono ancora abbiano subito tutto a portata di mano.

A volte ci riusciamo, altre volte arriviamo lunghi. Ma ci stiamo tarando cammin facendo.

  1. A proposito: sappiamo che sei anche un grande appassionato di serie TV.  Quali sono quelle che ogni bravo lettore di questo sito dovrebbe assolutamente vedere?

Ah beh, ce ne sarebbero. La mia Top Ten:

1)      The Sopranos, perché è a serie in assoluto più bella di sempre.

2)      The Wire, perché segue la precedente di poco, per scrittura, interpretazione e regia.

3)      Doctor Who, perché è così che dovrebbero essere fatti i fumetti.

4)      The SHIELD, perché è bella violenta e al tempo stesso profonda, come non ne fanno più.

5)      Breaking Bad, perché sarà sempre unica nel suo genere.

6)      Sherlock, perché è impressionante il livello di recitazione e di dettaglio di scrittura.

7)      Sons of Anarchy, perché non avrei mai detto che dei bikers potessero essere così profondi.

8)      Life on Mars UK, perché la scena in cui il protagonista capisce di essere piombato nel 70 con David Bowie in sottofondo mi fa sempre venire i brividi.

9)      Lost, perché sebbene siano veramente belle due stagioni su sei, per me è stato un punto d’inizio davvero importante

10)  True Detective, perché è una serie Invisibile.

Ma ti chiederò di aggiornare questa lista molto spesso, mi sa.

  1. Ultima domanda, a chiusura del cerchio, visto che questa chiacchierata è ospitata dal sito del Karemaski.  Quanto sono importanti le influenze musicali per un appassionato di fumetti, e conseguentemente quali sono i dischi dei quali non potresti fare a meno neanche sotto tortura?

Per me la musica è stata molto importante nella formazione, e ovviamente, come tutti, ne ascolto, sebbene non possa certo definirmi un esperto. Ascolto principalmente il rock nelle sue varie declinazioni, con spiccate preferenze per il punk californiano stile Ramones, una delle mie band preferite di sempre. In questo momento nel mio iPhone c’è spazio per i Blur, gli Arctic Monkeys, i Bad Religion, i Metric, i Kasabian, gli Smiths, gli Strokes e via dicendo.

Insomma, sono onnivoro, purché la base sia rock.

Grazie per l’intervista e a presto!

Duemila battute su Patrick Modiano e lo stato di salute della Letteratura italiana

La vittoria del premio Nobel per la Letteratura di Patrick Modiano, autore forse sconosciuto ai più (io ammetto candidamente di averlo solo sentito nominare ma di non aver mai letto un rigo della sua produzione) un po’ come era stato per Tomas Tranströmer nel 2011, mi offre lo spunto per una riflessione che riguarda lo stato di salute della letteratura italiana. La motivazione con cui si è deciso di conferire il premio a Modiano è questa: “per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e scoperto il mondo della vita dell’occupazione”.

Patrick Modiano

Patrick Modiano

Ora, a parte che mi vengono in mente almeno cinque scrittori italiani che perlomeno cercano di fare altrettanto, è evidente che il premio è stato dato proprio a lui perché è stato più bravo degli altri nel narrare questo tipo di scenario. Ma, rapportando le varie “scene letterarie” contemporanee, mi viene un dubbio: la letteratura italiana è malata di “provincialismo”? è un mondo autoreferenziale, che se la suona e se la canta, e non viene minimamente considerato all’estero?

Scorrendo l’elenco dei vincitori del Nobel, gli italiani sono sempre sei, di cui tre risalenti al periodo del Regno d’Italia.  Carducci, Deledda, Pirandello, Quasimodo, Montale, Fo. E sinceramente, considerando che il premio può essere conferito solo ad autori viventi, mi pare che l’unico a potervi ragionevolmente ambire è Umberto Eco, e dietro di lui il vuoto. Non vedo nessun Le Clézio, nessun Orhan Pamuk, nessun Mario Vargas Llosa, solo per stare nell’ultimo decennio, né realizzato né potenziale, tranne – e sia detto con mille “forse” – Dacia MarainiAlessandro Piperno. Non me ne vogliano gli altri scrittori italiani d’oggidì. Eppure la nostra Letteratura del Novecento ci ha dato tanti autori che avrebbero potuto vincere il Nobel senza sfigurare nell’albo d’oro della Reale Accademia Svedese delle Scienze: D’Annunzio, Svevo, Fogazzaro, Moravia, Vittorini, Gadda, Calvino, Primo Levi, solo per dire i primi che mi vengono in mente.
Quindi, in sintesi, la domanda è: come è potuto succedere che la Letteratura italiana abbia fatto così tanti passi indietro? è un fatto vero o solo una mia impressione?