Riflessioni agostiane, dopo una settimana di mare con il bar sulla spiaggia, dopo gli acquisti di CD (ebbene sì) fatti negli ultimi tempi, dopo attenta (si fa per dire) meditazione.
Non si esce vivi dagli anni ’90, così come dicevano non si uscisse dagli ’80.
Nella spiaggia, risuonano le stesse canzoni dance di quando avevo 15 anni, e ora ne ho 35. I’m a Scatman, The Rhythm of the night, Sweet dreams. Altre delle quali al momento mi sfuggono i titoli.
I CD che ho comprato negli ultimi tempi sono tutti di quella decade in questione. Recuperi di dischi ascoltati fino allo sfinimento in alcuni casi, scoperte tardive in altri. Qualche esempio? Nevermind dei Nirvana, Ten dei Pearl Jam, Mellon Collie and the Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins, In The Aeroplane Over The Sea dei Neutral Milk Hotel.
E alla fine, mi sono fatto l’idea che si, non si esce vivi dagli anni ’90 perché in tutti i generi musicali o quasi i ritornelli avevano una capacità di entrarti in testa che non aveva precedenti nella storia della musica, e perché al tempo stesso cercavano di farti passare qualche messaggio.
Nella musica dance ovviamente è vero soprattutto il primo aspetto. Chi non saprebbe cantare l’aria di “bee ba ba ba ba doo” di I’m a Scatman? Il discorso, poi, è valido soprattutto nel rock in tutte le sue declinazioni, che poi è quello che più mi interessa. I ritornelli delle canzoni di quegli anni sono parte di un immaginario collettivo che interessa la mia generazione ma anche chi è venuto dopo.
I’m a creep, I’m a weirdo. What the hell am I doing here? I don’t belong here.
Despite all my rage I am still just a rat in a cage.
With the lights out it’s less dangerous. I feel stupid and contagious, here we are now, entertain us. A mulatto, an albino, a mosquito, my libido, yay!
They rally ‘round the family with a pocket full of shells.
Tutte declinazioni di uno stesso sentimento, quell’inquietudine per la piega che stavano prendendo le cose, per la piega che poi hanno effettivamente preso. Il senso di inadeguatezza per essere nati in un mondo dove tutto andava verso il meglio e dove poi, tutt’a un tratto, c’è stata una virata e tutto ha cominciato, dapprima impercettibilmente poi sempre più alla svelta, ad andare male. Senza che internet avesse quella diffusione capillare per cui oggi siamo arrivati alla saturazione di informazioni, di musica, di film, di concetti, al punto tale che queste poche righe non sono altro che una goccia in un oceano, per cui è inutile farla tanto lunga. Quello che volevo dire è che quando questi tizi dicevano che eravamo messi male, peggio di quanto tutti noi potessimo pensare, alla fine ci avevano preso. Consapevolmente o meno, io questo non posso saperlo. Ma oggi, ascoltare quelle canzoni ha un retrogusto amaro che si combina con le sensazioni personali dei me quindicenne e del me trentacinquenne, e fa sì che io davvero non riesca a liberarmene.